Giornata della Memoria: i libri per ricordare

“Non siate indifferenti, non omologatevi e stupitevi del male altrui”.
 Lilliana Segre

 Il 27 gennaio è la Giornata della Memoria, dove si ricordano le vittime dell’Olocausto, del fascismo e nazismo, ed è celebrata in tutto il mondo.

Tra i consigli di lettura di Frassinelli ricordiamo gli indimenticabili best-seller diventati veri e propri capolavori della narrativa sull’Olocausto.

 LA LISTA DI SCHINDLER – THOMAS KENEALLY

«Chi salva una vita salva il mondo intero». 

 Una storia di resilienza e coraggio, un classico moderno da cui è stato tratto il film-capolavoro di Steven Spielberg.

La straordinaria vicenda di Oskar Schindler, il giovane industriale tedesco che salvò la vita di migliaia di ebrei durante la persecuzione nazista. Amante del lusso e delle belle donne, considerato da molti un collaborazionista, Schindler riuscì a sottrarre uomini, donne e bambini allo sterminio, impiegandoli nella sua fabbrica come personale necessario allo sforzo bellico. Un’operazione rischiosa, con la quale mise in pericolo la propria vita. Commovente e indimenticabile, una pietra miliare della narrativa sull’Olocausto.

STORIA DI UNA LADRA DI LIBRI  – MARKUS ZUSAK 

“Quasi tutte le parole stanno sbiadendo ormai, il libro nero si sta disintegrando a causa dei miei tanti viaggi. Per questo motivo vi ho raccontato questa storia. Cosa vi avevo detto? Racconta qualcosa abbastanza volte e non la dimenticherai mai.”

È il 1939 nella Germania nazista. Tutto il Paese è col fiato sospeso. La Morte non ha mai avuto tanto da fare, ed è solo l’inizio. Il giorno del funerale del suo fratellino, Liesel Meminger raccoglie un oggetto seminascosto nella neve, qualcosa di sconosciuto e confortante al tempo stesso, un libriccino abbandonato lì, forse, o dimenticato dai custodi del minuscolo cimitero. Liesel non ci pensa due volte, le pare un segno, la prova tangibile di un ricordo per il futuro: lo ruba e lo porta con sé. Così comincia la storia di una piccola ladra, la storia d’amore di Liesel con i libri e con le parole, che per lei diventano un talismano contro l’orrore che la circonda. Grazie al padre adottivo impara a leggere e ben presto si fa più esperta e temeraria: prima strappa i libri ai roghi nazisti perché «ai tedeschi piaceva bruciare cose. Negozi, sinagoghe, case e libri», poi li sottrae dalla biblioteca della moglie del sindaco, e interviene tutte le volte che ce n’è uno in pericolo. Lei li salva, come farebbe con qualsiasi creatura. Ma i tempi si fanno sempre più difficili. Quando la famiglia putativa di Liesel nasconde un ebreo in cantina, il mondo della ragazzina all’improvviso diventa più piccolo. E, al contempo, più vasto. Raccontato dalla Morte – curiosa, amabile, partecipe, chiacchierona – Storia di una ladra di libri è un romanzo sul potere delle parole e sulla capacità dei libri di nutrire lo spirito. Con una scrittura straordinaria per intensità e passione, Markus Zusak ci consegna uno dei romanzi più indimenticabili del nostro tempo.

Ricordiamo anche AVEVO 15 ANNI- ELIE BUZYN

Come tantissimi sopravvissuti (una per tutti, Liliana Segre), per decenni Élie non è riuscito a parlare di quelle atrocità, a cui tanti, troppi, sembravano non credere o non intendevano prestare ascolto, fino a quando non è scattata una molla che lo ha spinto a testimoniare, come per un preciso dovere morale, e ad accompagnare quindi ad Auschwitz dapprima figli e nipoti, e successivamente anche numerosi gruppi e scolaresche. Giovani soprattutto, perché, dopo la sparizione degli ultimi testimoni, spetterà a loro divenire «testimoni dei testimoni».

«Ricordare è necessario, oggi più che mai.»
Dall’introduzione di Dario Disegni.

Intervista a Elena Loewenthal – Alchimisti di parole

Intervista a Elena Loewenthal, traduttrice di Avevo 15 anni, per Alchimisti di parole

Il 21 gennaio, a una settimana dal Giorno della Memoria, pubblichiamo Avevo 15 anni, il memoir di Elie Buzyn, uno degli ultimi testimoni ebrei delle persecuzioni naziste. A parte le commemorazioni, che comunque rimangono sempre utili (basti pensare all’ondata di odio che ha colpito Liliana Segre quest’inverno, scatenata quanto meno dalla mancanza di memoria), il racconto di questo medico novantenne è una lettura commovente, il trionfo della vita e della giustizia sulla morte e la sopraffazione. A tradurlo con grazia è stata Elena Loewenthal, che abbiamo intervistato per Alchimisti di parole.

Elena, oltre a essere una traduttrice di grandissima esperienza sei anche autrice di saggi e romanzi: come ti avvicini al testo di un altro scrittore per tradurlo? Quali sono le tue tecniche di traduzione?

La traduzione è lavoro di “artigianato”, è un corpo a corpo con il testo. Difficile dire quali tecniche siano da usare: io faccio una sorta di analisi del periodo, frase per frase, e poi provo a immaginare come si sarebbe espresso l’autore se avesse avuto a disposizione l’italiano e non la sua lingua, che nel mio caso è quasi sempre l’ebraico. È un lavoro di intuizione, fantasia e metodo, la traduzione.

Nel caso di Avevo 15 anni, la particolarità del testo è che si tratta di un memoir, di una storia vera e non di un lavoro di finzione: che tipo di approccio hai di fronte alla voce dell’autore?

Ecco, era proprio l’impegno a “sentire” la sua voce, ad ascoltarla. È un testo che va raccontato, immaginando di ascoltare l’autore che si racconta. Certo che in casi come questo, di memoria della Shoah, è sempre difficile, se non impossibile mettersi nei panni di chi ha vissuto e subìto esperienze così tremende, in fondo intraducibili.

In particolare, Elie Buzyn appartiene alla ormai purtroppo esigua schiera dei testimoni dell’Olocausto: tu stessa ne hai scritto (penso per esempio al romanzo che abbiamo pubblicato qualche anno fa, Lo strappo nell’anima). Hai dovuto scavare anche nella tua memoria di ricercatrice per verificare i fatti storici?

Il confronto con l’evidenza dei dati storici è sempre indispensabile. Ma nel caso di memorie della Shoah io credo che la cosa più importante sia proprio cercare una condivisione emotiva più che razionale con quegli eventi, che vanno al di là di ogni ragione storica. Una condivisione emotiva fatta di partecipazione ma anche e forse soprattutto della consapevolezza che non riusciremo mai a comprendere che cosa passa nella testa e nel cuore di un sopravvissuto: c’è un confine invalicabile fra quel dolore e la nostra capacità di capire – di noi che non siamo stati laggiù.

Credo che il tuo coinvolgimento nel tradurre questo libro sia speciale, poiché appartieni alla comunità ebraica. E siccome sei anche giornalista, ti chiedo un commento più generale sull’importanza di continuare a leggere testimonianze come questa.

È fondamentale continuare a tramandare il racconto. Come ha detto Primo Levi, il fatto che sia successo non ci mette al riparo, anzi, moltiplica le probabilità che accada di nuovo.

Elie Buzyn, Avevo 15 anni

“Coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza.” Liliana Segre.

Elie Buzyn è un signore di novant’anni, di quelli che ti capita di incontrare e che ti stupiscono con la loro forza: fisica, anche, ma soprattutto morale.

Uno che a settant’anni suonati si è messo a correre maratone e a ha anche acceso la fiaccola olimpica, qui da noi, a Torino. Uno di quelli che vorresti non finissero mai.

Elie, poi, ha fatto il medico, il chirurgo ortopedico, salvando sicuramente tantissime gambe, probabilmente anche molte vite.

In particolare, ha voluto dedicare una gran parte del suo tempo a persone speciali, quelle che in un’epoca ancora troppo vicina erano state considerate razza inferiore, umanità da eliminare. Come lui.

Perché Elie è ebreo e a quindici anni è stato internato dai nazisti a Auschwitz. È scampato alla marcia della morte solo perché sua madre si era fatta promettere che sarebbe sopravvissuto. Ha vagabondato alla ricerca di una nuova patria, perché non aveva più né casa né famiglia. E alla fine ha ricominciato a vivere.

Per tanti anni in silenzio, certe cose hanno bisogno di molta vita per essere raccontate. Finché un giorno, Elie è tornato a Auschwitz e ha deciso che era arrivato il momento di trasmettere la sua memoria alle nuove generazioni. Come quella della nostra Liliana Segre, la testimonianza di Elie Buzyn è un monito contro gli orrori del nazismo – antisemitismo, razzismo, apartheid – ma anche il trionfo di una esistenza piena di significato. Ed è proprio grazie a loro, ai loro sforzi inimmaginabili nel ricordare, che oggi possiamo dirci pienamente umani.

Perché, come ha scritto Primo Levi, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate: anche le nostre”.

 

Il Gruppo Mondadori e ActionAid insieme per l’istruzione

ActionAid e le case editrici del Gruppo Mondadori insieme per garantire il diritto all’istruzione a 1.800 bambine e bambini in Etiopia Mondadori, Einaudi, Rizzoli, Piemme, Sperling&Kupfer, Mondadori Electa e Fabbri Editori sostengono il progetto “Insieme per l’istruzione”: al via la costruzione di due scuole nel distretto di Raya Azebo con ActionAid

 3 dicembre 2019 – Ancora oggi 120 milioni di bambini nel mondo non ricevono un’istruzione di base, più della metà di questi sono bambine. Senza l’opportunità di studiare è impossibile immaginare il futuro, senza un’educazione adeguata e di qualità non c’è possibilità di costruire una vita migliore e sicura.

Il diritto all’istruzione è ancora più a rischio in paesi come l’Etiopia, dove quasi 30 milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povertà e il 30,4% dei bambini con meno di 5 anni soffre di malnutrizione. Troppi ragazzi e ragazze (il 70%) abbandonano gli studi dopo la scuola primaria per aiutare la famiglia con il lavoro nei campi e per mancanza dei giusti supporti.

È per questo che a Natale ActionAid insieme a Mondadori, Einaudi, Rizzoli, Piemme, Sperling&Kupfer, Mondadori Electa e Fabbri Editori si sono uniti per una sfida importante: garantire il diritto all’istruzione a 1.800 bambine e bambini in Etiopia, nel distretto di Raya Azebo, uno dei luoghi del mondo dove è più urgente fornire sostegno alle scuole primarie, spesso prive di acqua potabile e servizi igienici adeguati.

“In Etiopia andare a scuola e poter completare gli studi, ricevere un’istruzione di qualità è per troppi bambini, e in particolar modo bambine, un diritto negato. Avere al nostro fianco un partner come Mondadori significa ricevere un supporto fondamentale e rende possibile realizzare i desideri di 1.800 studenti che non hanno aule, libri e materiali scolastici. Grazie al contributo delle case editrici del Gruppo potremo costruire due nuove scuole, fornire energia elettrica, acqua potabile e servizi, dare sostegno e formazione agli insegnanti e sensibilizzare le comunità sull’importanza dell’istruzione delle ragazze, in una delle regioni più povere del paese” – dichiara Marco De Ponte, Segretario Generale ActionAid.

“L’attenzione per un’istruzione degna di questo nome – di qualità, equa, inclusiva e accessibile a tutti – è una priorità per il Gruppo Mondadori: fa parte del comune sentire delle persone che ci lavorano ed è connaturata alla tradizione e alla storia dell’azienda”, ha dichiarato Enrico Selva Coddè, Amministratore Delegato area Trade di Mondadori Libri. “Con questa iniziativa le nostre case editrici fanno un passo in più e realizzano un progetto concreto e solidale, a beneficio di una delle zone del mondo dove questi bisogni sono più urgenti. Avere al nostro fianco un partner come ActionAid è per noi garanzia della serietà del nostro reciproco impegno”, ha concluso Enrico Selva Coddè.

 

IL PROGETTO

Nel distretto di Raya Azebo la maggior parte delle scuole è costruita in legno e intonacata con fango. A causa della indisponibilità di servizi igienici separati per ragazzi e ragazze, per le studentesse durante il ciclo mestruale è impossibile frequentare le lezioni, questo provoca il loro assenteismo, l’abbandono e lo scarso rendimento scolastico.

Con il progetto “Insieme per l’istruzione” ActionAid e le case editrici del Gruppo Mondadori creeranno un ambiente scolastico sicuro per 1.800 studenti, di cui la metà bambine, delle scuole elementari delle comunità di Barie Woyane e di Hawulti. Nel corso del 2020 verranno costruiti due blocchi scolastici con 4 aule ciascuno, biblioteche, servizi igienici separati per le bambine; verranno inoltre forniti materiali e arredi scolastici, sostegno alle ragazze e avviato un miglioramento della governance della scuola con un elevato coinvolgimento delle comunità.

Sul sito insiemeperlistruzione.it sarà possibile seguire gli stati di avanzamento del progetto in Etiopia.

Con questa iniziativa, ActionAid e le case editrici del Gruppo Mondadori si impegnano a sostenere in modo condiviso il quarto degli Obiettivi Sostenibili fissati dalle Nazioni Unite per il 2030.

 

ACTIONAID PER LA SCUOLA

Nell’ultimo anno abbiamo garantito e migliorato l’accesso all’istruzione gratuita, sicura e di qualità per bambini e bambine in circa 5.000 scuole di 25 Paesi. Abbiamo inoltre coinvolto più di 400.000 genitori, insegnanti e studenti in attività di prevenzione e contrasto all’abbandono scolastico.

 

IL GRUPPO MONDADORI PER L’ISTRUZIONE

Siamo una casa editrice con oltre 100 anni di storia. Il forte legame che abbiamo con autori e lettori, ci dà la consapevolezza di avere una responsabilità anche nei confronti di tutta la società civile. Abbiamo la certezza che il diritto a un’istruzione e a un’informazione di qualità sia un elemento essenziale per lo sviluppo e la crescita di un Paese. Promuovere attivamente, in Italia e nel mondo, una cultura che sia accessibile a tutti fa parte della nostra missione ed è uno dei principi della politica di sostenibilità del nostro Gruppo.

 

COSA FA ACTIONAID

ActionAid è un’organizzazione internazionale indipendente impegnata in Italia e in 44 Paesi. Collabora con più di 10.000 partner, alleanze, ONG e movimenti sociali per combattere povertà e ingiustizia sociale. Da oltre 40 anni ActionAid si batte al fianco degli individui e delle comunità più povere e marginalizzate, scegliendo di schierarsi dalla loro parte perché consapevole che per realizzare un vero cambiamento sociale è necessario uno sforzo collettivo di solidarietà e giustizia. Un mondo equo e giusto per tutti: è questa la visione da cui ActionAid trae ispirazione e forza vitale. Per rendere questa visione del mondo una realtà concreta, ActionAid si è data una mission specifica da perseguire nei prossimi 10 anni: lavorare per promuovere e animare spazi di partecipazione democratica e per coinvolgere persone e comunità nella tutela dei propri diritti; collaborare a livello locale, nazionale e internazionale per realizzare il cambiamento e per far crescere l’equità sociale, migliorando la qualità della democrazia e sostenendo così chi vive in situazioni di povertà e marginalità.

Natale con Frassinelli

Le vacanze di Natale sono l’occasione ideale per scoprire o riscoprire il piacere di leggere! Che sia un regalo per i vostri cari o per voi stessi, vi suggeriamo una selezione di libri perfetti per trascorrere le feste in compagnia di un romanzo Frassinelli.

Voce di carne e di anima di Alda Merini
Tensione mistica e vocazione terrena, religione e follia, vitalità e scrittura. Gli amanti della Poesia non possono lasciarsi sfuggire questo volume: un intenso compendio di alcuni dei libri più importanti che Alda Merini ha affidato – negli ultimi dieci anni della sua vita – all’amico Arnoldo Mosca Mondadori e impreziosito dalla meravigliosa copertina realizzata dall’illustratrice Marta Lorenzon.

L’importanza di ogni parola di Toni Morrison
In un’epoca in cui il pensiero complesso è ridotto a slogan e tweet, L’importanza di ogni parola è il lascito di Toni Morrison, una delle più grandi scrittrici della storia americana, un’autrice che ha sempre messo al centro del proprio lavoro la ricchezza del linguaggio e la ricerca della verità. Così, i diversi testi di questa raccolta hanno alla fine un unico filo conduttore, lo smantellamento delle apparenze (l’essere bianchi, l’essere neri, innanzitutto), con la loro natura ingannevole e strumentale.

Leopardo nero, Lupo rosso di Marlon James
Magia, mistero, atmosfera mistica sono gli elementi portanti dell’imponente fantasy di Marlon James. Quale periodo migliore per leggerlo se non quello natalizio? Verrete trasportati in un’Africa antica e selvaggia dove leopardi e lupi si mescolano con uomini dai poteri sovrannaturali, e dove a vincere è la legge del più forte.

Respiro di Ted Chiang
Ted Chiang è fantascienza nella sua forma più elevata. Citato come l’erede di Philip K. Dick, nella raccolta di racconti Respiro esalta il valore della vita, l’ineluttabilità, la paura e il dolore della morte, la necessità della memoria, la ricchezza salvifica del sapere, e volere, comunicare. Pronti per perdervi in nuovi mondi?

Il cielo non è per tutti di Barbara Garlaschelli
Tinte noir e una forte storia dove a dominare sono le emozioni. L’ultimo romanzo di Barbara Garlaschelli ci riporta indietro nel tempo, agli anni dell’infanzia, facendoci vivere un’età dimenticata attraverso la delicata storia di Giacomo e Alida.

Il fuoco e la polvere di Mauro Garofalo
Se preferite un Natale avventuroso ed esplosivo, il nostro consiglio non può che essere Il fuoco e la polvere! Ambientato nella Maremma del 1862, un western tutto italiano nel quale Mauro Garofalo ci fa vivere una storia intrisa di ribellione, forza, violenza e ruralità.

Buone letture e Buone Feste!

Intervista a Marlon James

Nei giorni di Bookcity si è parlato molto anche di Afriche, con numerosi interventi di grandi scrittori. Il plurale, Afriche, è d’obbligo, visto che il continente ha in sé diverse nature e soprattutto che la diaspora africana ha dato origine a importanti comunità in tutto il mondo, dalle quali arrivano musica, teatro e soprattutto libri sempre più interessanti. E gli afroamericani sono tra gli artisti più vivaci, e Marlon James, che non è potuto venire a Milano per la rassegna, è sicuramente uno dei più originali. Allora ci siamo fatti raccontare da lui qualcosa di più sul suo Leopardo nero, lupo rosso, ambientato in un’altra Africa.

Leopardo nero, lupo rosso è una quest, la storia di un uomo in cerca di qualcosa (un bambino, la verità, la sua natura umana). A raccontare la storia è l’uomo stesso, che si presenta con un nome che non è il suo, proprio come nell’incipit di Moby Dick – Chiamatemi Ismaele. Volevi scrivere il romanzo epico africano?

In un certo senso concordo con il riferimento, perché ho letto Moby Dick e penso che ogni libro entri a far parte del tuo DNA. E sicuramente volevo scrivere un’opera che raccogliesse in sé le culture africane, le culture della diaspora africana. D’altro canto, quando ho iniziato a scrivere Leopardo nero, lupo rosso sapevo che sarebbe stato il primo volume di una trilogia con tre narratori diversi. Quello dell’Inseguitore, che racconta la storia in questo primo romanzo, è quindi solo uno dei punti di vista da cui il lettore conoscerà la storia. In questo modo, sarà proprio il lettore a decidere di chi fidarsi, a decidere qual è il narratore affidabile e quale invece no, proprio come lo deciderà l’Inquisitore, che li interroga. Nel secondo romanzo, a raccontare sarà la strega Sogolon, e la sua versione sarà molto differente da quella dell’Inseguitore.

I tuoi personaggi passano dalla forma animale a quella umana e viceversa: è un riferimento ai superpoteri di fumetti come Black Panther, ma anche alla natura mutevole degli esseri umani?

Per me la cosa più importante era descrivere la natura umana in modo non convenzionale, fluido, ed è proprio la fluidità della forma la caratteristica principale che ho voluto dare al romanzo stesso. Tutto cambia, niente è definito univocamente. La distinzione tra animale e umano, tra gender e identità sessuale sono superati: la natura umana è universale e onnicomprensiva. Nella mitologia e nel folklore africani ai quali mi sono ispirato, l’identità è amorfa e cambia adattandosi alle situazioni: non c’è separazione tra animale e umano, tra maschile femminile.

Sei mai stato in Africa?

Sì, sono stato in Nigeria diversi anni fa ed è stato interessante, ma per creare il mondo di Leopardo nero, lupo rosso – che è un fantasy, in ogni caso, non dimenticarlo – mi sono basato sulla ricerca e sulle mie radici giamaicane. La Giamaica è stato un paese coloniale e si porta dietro quindi un retaggio molto vasto, che ho voluto sgombrare dal punto di vista dei colonialisti e riportare all’origine africana. Volevo liberare la storia dai pregiudizi dovuti all’ignoranza e alle abitudini legate alle successive stratificazioni culturali. L’Africa del mio libro è quindi molto legata alle tradizioni del Centrafrica (la regione più devastata dalle razzie schiaviste), che fanno parte della mia eredità culturale. È un po’ come Il Signore degli anelli, per scrivere il quale Tolkien ha attinto ai miti inglesi e a quelli nordici.

Hai incontrato scrittori africani, per esempio i nigeriani Wole Soyinka e Ngugi wa Thiongo?

Sì, ma li ho incontrati da fan, da lettore accanito. È stato Salman Rushdie lo scrittore – poi diventato amico, che dio lo benedica – che mi ha ispirato nel mio lavoro. Soprattutto, mi ha aperto gli occhi sull’uso della lingua: gli scrittori africani si interrogano sull’uso dell’inglese, lingua imposta che ha offuscato quelle originarie, mentre Rushdie mi ha fatto capire che è uno strumento espressivo, con molte possibili varianti.

Ultima domanda: che cosa pensi dell’adattamento TV di Leopardo nero, lupo rosso?

Sai che Warner ha comprato i diritti della serie, e siccome il produttore sarà Michael B. Jordan, dico a tutti che Killmonger (il protagonista di Black Panther interpretato da Jordan, ndr) farà la serie basata su Dark Star (la trilogia di cui Leopardo nero, lupo rosso è il primo volume, ndr). Sono molto contento, perché sarà una storia ancora diversa destinata alla diaspora africana. E non mi preoccupa affatto come la interpreteranno, non sono il tipo di autore che vuole per forza dire la sua, anzi sono molto interessato alla loro interpretazione. Per il momento il progetto è ancora in fase iniziale, dovremo aspettare per vederlo sullo schermo.

Marlon è stato molto gentile e generoso al telefono, e le cose da chiedergli sarebbero state ancora davvero tante. Per il momento però è tutto, ci rileggiamo la prossima volta.

Intervista a Paola D’Accardi – Alchimisti di parole

Abbiamo intervistato Paola D’Accardi, traduttrice di Leopardo nero, Lupo rosso di Marlon James, per conoscere meglio il primo romanzo della trilogia Dark Star.

Come definiresti Leopardo nero, Lupo rosso?

Leopardo nero, lupo rosso lo definirei un romanzo di cappa e spada, l’unico problema è che raramente i personaggi indossano qualcosa in più di un perizoma e più che una spada usano accette e coltelli. Scherzi a parte per me è soprattutto un romanzo d’avventura che ha la particolarità di essere ambientato in un contesto decisamente inedito, infatti si svolge in un’Africa medievale, fantastica che però non è estranea alla storia e alla realtà quotidiana di quel continente, è un pastiche fantasy che mescola gli elementi più disparati creando un mix molto originale, e anche molto pulp con violenza e sesso espliciti. Un libro per certi versi spregiudicato e adatto a stomaci forti.

Protagonista del romanzo è l’Inseguitore, un cacciatore dal fiuto infallibile, che, accompagnato da un gruppo di mercenari, cerca un bambino scomparso. Che personaggio è l’Inseguitore?

L’inseguitore, per come lo vedo io, è un adolescente mai cresciuto: infatti lo conosciamo all’inizio del libro come un ragazzino arrabbiato, impulsivo, rancoroso, e tale quale lo ritroviamo alla fine del libro, quando è ormai un uomo adulto. Questo suo non cambiare mai e essere artefice delle proprie sfortune lo rende una specie di Sisifo, condannato a ricominciare sempre daccapo senza mai arrivare a una meta. Però in queste sue continue scelte sbagliate, il suo agire sempre d’impulso è l’elemento che rende imprevedibili le sue infinite avventure; il suo essere vittima di se stesso lo porta irrimediabilmente ad amare l’altro protagonista del romanzo, che è Leopardo nero.
E lui sì che è veramente uno spirito libero: è altrettanto impulsivo e irrazionale, però è uno che non si pente mai di quello che fa.

C’è una frase, una riflessione che ti è rimasta particolarmente fissata nella memoria?

Mi è rimasta impressa non una frase ma una scena: quando l’Inseguitore, svegliandosi nello scafo di una nave, intravede nella penombra un bambino con al collo la tipica catena degli schiavi.
L’immagine mi ha colpito per due motivi: uno, perché mi ha ricordato il brano di Amatissima di Toni Morrison, in cui la protagonista è in un capanno di legno e la luce che filtra attraverso le fessure le fa rievocare gli uomini e le donne prigionieri negli scafi di legno delle navi negriere; e poi mi ha colpito perché, nel tripudio di invenzioni fantastiche che è il romanzo, questa scena riporta bruscamente alla realtà, una realtà del passato che però non ha assolutamente smesso di farsi sentire nel presente. E la nave ha fatto andare il mio pensiero ad altre imbarcazioni, che oggi non portano schiavi ma attraversano il mare con un carico altrettanto disperato.

Toni Morrison, L’occhio più azzurro

Continua il nostro memoriale mensile di Toni Morrison, questa volta attraverso il primo romanzo che l’autrice ha pubblicato nel 1970, L’occhio più azzurro. La storia raccontata nel libro è quella di Pecola Breedlove, una bambina nera nell’Ohio del 1941. Povera, affidata a una famiglia che non è la sua, spesso derisa, Pecola comincia a sperare di essere diversa, di assomigliare alla ragazzina modello dell’epoca, perché in quella bellezza vede una possibilità di riscatto. E quella bellezza ha gli occhi azzurri. Il desiderio innocente di una creatura vulnerabile e sola segna l’inizio di una parabola tragica.

Pubblicato quasi cinquant’anni fa, L’occhio più azzurro è un libro che si legge ancora con pena e rabbia, perché pena e rabbia si provano nel leggere l’innocenza violata, la ferocia del forte verso il debole, l’avversione razziale, anche all’interno della stessa comunità nera. Una comunità che proprio negli anni Sessanta, attraverso battaglie ostinate (culminate con l’assassinio dei suoi leader come Martin Luther King e Malcolm X), stava riconquistando la propria dignità, contro segregazione e razzismo (di quegli anni è lo slogan Nero è bello). Si può immaginare l’accoglienza al libro della Morrison: sostanzialmente il silenzio. Ma naturalmente, la nostra autrice non ha certo smesso di scrivere e di raccontare storie vere che la maggioranza delle persone tendeva a nascondere in qualche armadio in soffitta. Fino a vincere il premio Nobel.

E allora, in questi tempi che sembrano altrettanto complicati, vale la pena leggere o rileggere il romanzo di Pecola Breedlove, che adesso dovrebbe essere felice di avere gli occhi neri.

Leopardo nero, lupo rosso di Marlon James

Leopardo nero, lupo rosso  è il romanzo di Marlon James che pubblicheremo il prossimo autunno e che è il primo sorprendente volume di una nuova trilogia fantasy, Dark Star. In America, il libro è uscito a febbraio 2019 ed è stato salutato come il nuovo Trono di spade, ambientato in Africa. Un paragone confermato dalla vendita dei diritti televisivi alla Warner Bros. per una serie prodotta da Michael Jordan. Quel Michael Jordan.

Al centro di Leopardo nero, lupo rosso c’è la ricerca di un bambino molto speciale, la cui sparizione è circondata dal mistero. Sulle sue tracce viaggia un uomo che ha un potere sovrannaturale, un passato magico e compagni di avventura con doti molto particolari, in questo richiamando lo spirito de Il signore degli anelli.

A rendere davvero nuovo e affascinante il libro di Marlon James ci sono gli scenari africani, le leggende di un continente selvaggio dove la vita pulsa di violenza e amore, di animismo e animalità. È una scoperta continua, un tuffo nella foresta primordiale del nostro passato ancestrale, raccontato dalla fantasia sfrenata e appassionante di un grande scrittore.

Grande, Marlon James lo è diventato soprattutto grazie a Breve storia di sette omicidi, che gli ha portato il Man Booker Prize, ma si è confermato tale con Leopardo nero, lupo rosso: per settimane tra i primi dieci libri della classifica del New York Times, il libro ha raccolto recensioni stellari di critici e altri scrittori e ha fatto guadagnare a Marlon un posto tra le 100 personalità più influenti al mondo secondo la rivista Time.

«Marlon è un autore che deve essere letto.»
Salman Rushdie

Markus Zusak e la lunga gestazione de Il ponte d’argilla

(Da una conversazione di Clarissa Sebag – Montefiore con Markus Zusak sul Guardian del 17/12/2018)

Se Storia di una ladra di libri è il romanzo più famoso dell’autore australiano, questo è il suo capolavoro

Una mattina, nella sua casa di Sydney, mentre scriveva al tavolo della cucina, Markus Zusak è stato interrotto dal suono di qualcuno che stava sgranocchiando. Ha alzato lo sguardo e ha visto sua figlia Kitty che mangiava cereali: “Che cosa stai facendo, Kitty? Io avrei bisogno di lavorare. In silenzio, grazie.” Lei ha alzato un sopracciglio e con aria perplessa ha esclamato: “Lavorare? Chi, tu?”

Kitty aveva ragione. Anche se Zusak è uno degli autori più venduti in Australia, durante la vita di Kitty e di suo fratello Noah (hanno rispettivamente 12 e 9 anni), Zusak non ha mai pubblicato un libro: il suo ultimo romanzo, Il ponte d’argilla, ha richiesto ben 13 anni gestazione. Eppure, per essere uno che ha sofferto per anni del blocco dello scrittore, e che poi ha passato mesi a rivedere, riscrivere e ripensare il suo libro, tanto da fargli dire che era diventata una vera e propria dipendenza, Zusak rimane un uomo positivo.

“Certo, ho sofferto parecchio”, dice Zusak, versando una tazza di tè alla menta in un bar di Surry Hills. “Ma è una sofferenza costruttiva, di cui io stesso sono la fonte. Mi piace che scrivere non sia un’impresa facile.”

Uscito in Australia a ottobre, e a novembre in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Italia, Il ponte d’argilla è una saga famigliare incentrata su cinque fratelli abbandonati a se stessi dopo la morte della madre e la scomparsa del padre. Questo fino a quando il padre non ritorna e chiede ai figli di accompagnarlo in una casa nel bush per costruire un ponte – un modo letterale e metaforico di fare ammenda. Solo uno dei ragazzi accetta. Clay.

È, secondo Pan Macmillan, il “libro più atteso del decennio” – e non senza ragione. Storia di una ladra di libri, il grande successo di Zusak, ha trascorso più di 10 anni nella classifica dei bestseller del New York Times, è stato tradotto in 40 lingue, ha venduto 16 milioni di copie ed è diventato un film importante con Geoffrey Rush ed Emily Watson. Negli ultimi 13 anni Zusak è vissuto, insieme ai due figli e alla moglie Dominika che gli fa da amministratrice, grazie ai diritti d’autore del suo bestseller.

Ma se Storia di una ladra di libri è il suo libro più famoso, Il ponte d’argilla è il suo capolavoro. Zusak, che ora ha 43 anni, ne aveva appena 20 quando ha immaginato di scrivere questo romanzo. Dopo tanti anni, parla ancora di quel momento con aria sognante: “Ho pensato a un ragazzo che costruiva un ponte e voleva rendere questa cosa bella, compiuta e perfetta”.

L’argilla, ovviamente, è carica di significato: per modellare un oggetto si parte dalla materia fredda e umida, ma perché mantenga la sua forma deve essere cotto nel fuoco. E mentre Clay, il personaggio principale della storia, dava vita al suo ponte, Markus metteva la sua vita nel romanzo. “Ho messo tutto me stesso in questo lavoro. Questo libro è tutto ciò che ho.”, dice.

Proprio come l’epico Cloudstreet di Tim Winton, Il ponte d’argilla è anche una celebrazione dell’Australia, dell’importanza dell’ordinario, del quotidiano e, soprattutto, delle periferie. “Mi piace l’idea che le nostre vite suburbane, apparentemente noiose, siano in realtà grandi vite: ci innamoriamo tutti, perdiamo tutti persone a cui vogliamo bene, litighiamo tutti furiosamente nelle nostre cucine. Volevo scrivere un libro che ritraesse la ricchezza delle vite normali”.

Anche se ora vive in una casa a Woollahra, nell’esclusiva periferia orientale di Sydney, Zusak – che è educato, modesto e parla del meraviglioso potere dei libri – è cresciuto nel sud meno ricco della città. È il più giovane di quattro figli di genitori immigrati – suo padre è austriaco, sua madre tedesca – ed è cresciuto parlando tedesco e inglese.

“Sydney è una parte della mia storia”, dice Zusak. “E anche l’idea che mia madre e mio padre siano venuti qui senza niente. Iniziamo a essere chi siamo prima di nascere. Ci sono molte storie che portano alla nostra esistenza. Volevo porre l’attenzione su queste cose.”

I genitori di Zusak sono cresciuti durante la seconda guerra mondiale. Le loro esperienze hanno ispirato Storia di una ladra di libri, ambientato nella Germania nazista e raccontato dal punto di vista di un narratore molto particolare: la Morte.

Una storia in particolare lo ha colpito. Da bambina, la madre di Zusak si fermava spesso a guardare i contadini portare gli animali lungo la strada principale nella cittadina fuori Monaco dove viveva. Un giorno, non furono gli animali ma le persone a essere portate via: gli ebrei venivano deportati a Dachau.

“E c’era un vecchio che non riusciva a tenere il passo – ed era così emaciato che non riusciva più a camminare”, dice Zusak. “Un ragazzino corse a casa sua e tornò con una pagnotta. Il vecchio cadde in ginocchio, afferrò il ragazzo alle caviglie e lo ringraziò per il pane. Allora arrivò un soldato, gettò il pane e frustò l’uomo e il ragazzo”.

Sembra una favola nera. Ed è quella qualità semplice –che distingue il bene dal male – ad attrarre Zusak. “Da una parte hai la bellezza del vecchio e del ragazzo. Dall’altra hai l’incarnazione del male nel soldato. Metti insieme queste due cose e ottieni esattamente ciò di cui gli esseri umani sono capaci.”

Un’altra volta, sua madre gli aveva raccontato di essere emersa dal buio di un rifugio antiaereo per trovare la terra coperta dal ghiaccio e il cielo illuminato dal fuoco.

Immagini così potenti appaiono in Storia di una ladra di libri, dove la Morte pensa a colori; non in un rosso bruciato ma in un bianco accecante, una spietata lama di rasoio che trova la sua strada anche in Il ponte d’argilla, dove la luce solare “bianca come l’aspirina” di Sydney è tutt’altro che energetica.

La speranza, in Storia di una ladra di libri si presenta sotto forma di Liesel Meminger, una ragazza che vive con i genitori adottivi e che legge libri.

“Anche ora, dopo tutto questo tempo, la domanda più difficile è: di cosa parla il libro?”, dice Zusak. “Ci sono voluti circa cinque o sei anni per rendermi conto che il libro che parla del fatto che Hitler ha usato le parole e la propaganda per distruggere. E questa è la storia di una ragazza che riconquista quelle parole rubandole”.

In Storia di una ladra di libri un giovane pugile, il ventiquattrenne ebreo Max Vandenburg, si nasconde nella casa di Liesel. Anche il protagonista de Il ponte d’argilla pratica la boxe, e sfoga la sua rabbia contro il mondo attraverso la fisicità.

“C’è sempre un elemento di boxe [nei miei libri]”, dice Zusak. “Ci trovo un’analogia con l’ essere uno scrittore disciplinato: mi sono sempre allenato per questo. Scrivere è una professione solitaria. Spetta solo a te. Ti mette alla prova. Non sto dicendo che ci voglia lo stesso coraggio necessario per fare il pugile, ma in un certo senso è così – perché sei da solo.”

Durante l’ultimo decennio, Zusak ha avuto i suoi periodi difficili. Ma per lui non c’è mai stato un momento sprecato, mai una parola sprecata. Certo, 13 anni su un libro sono tanti. Ma “sono le parole dietro le parole” che importano, insiste. “Sono tutte le parole che nessuno vede mai a portare un libro in superficie”.

Caro lettore, se desideri restare aggiornato sulle novità editoriali e le iniziative di Sperling & Kupfer iscriviti alla nostra newsletter: è semplice e gratuita.
Iscriviti alla newsletter