LEI: Mathilde ha 24 anni, abita con due gemelle
che non vede mai in un appartamento che affaccia
sul cimitero di Montmartre e ha cominciato a
bere mojito per prendere le distanze dalla propria
esistenza. Ha appena chiesto l'ennesimo prestito al
cognato e adesso ha diecimila euro infilati in una
delle borse che trascina sempre con sé. Quando si
alza dal tavolo del bar è leggermente brilla, e non
si rende conto di aver dimenticato proprio quella
con i soldi. Stupida. Inutile. Senza speranza. Invece,
quello, è il primo giorno della sua nuova vita.
LUI: Yann ha 26 anni, è bretone, bello come un
cherubino e buono come il pane. Troppo per trovare
lavoro come designer. Allora si arrabatta con
un impiego qualunque, vive con una ragazza prepotente
che non ama, in un condominio dove non
conosce nessuno. In trappola. Solo. Rassegnato.
Almeno finché incrocia la famiglia più surreale e
amorevole che ci si possa aspettare. Tanto da mostrargli
almeno la possibilità di essere finalmente
se stesso.
Anna Gavalda riprende il filo dei racconti di Vorrei
che da qualche parte ci fosse qualcuno ad aspettarmi, e lo
fa con lo sguardo acuto ed empatico di Raymond
Carver, lo scrittore al quale è stata paragonata al
suo esordio. Le sue sono vicende urbane, frenetiche,
affannate, nelle quali i personaggi rischiano
di essere risucchiati senza nome né volto. Gavalda
glieli restituisce, regalando loro una storia, una
scelta, una vita diversa.