Fino a ieri le buone notizie non erano notizie.
Erano brevi di cronaca. Stampa minore. Odoravano
di vecchio. I giornalisti guardavano
altrove. Rincorrevano procure, questure, preture,
mascalzoni, predoni, corrotti, truffatori,
manipolatori, speculatori. Perché la stampa deve
denunciare, stimolare, far riflettere. È il suo
dovere: gli orrori non si possono ignorare. Però
quante storie dimenticate, quanto distacco dal
mondo della gente comune. L'Italia non è solo
quella delle vite sbagliate. È piena di piccoli eroi
della normalità, di esempi imitabili, di uomini e
donne straordinari che non hanno storia perché
nessuno li racconta. Dal premio Buone Notizie,
ai nuovi blog, all'inserto settimanale del Corriere
della Sera arriva l'invito a guardare anche
dall'altra parte: quella del bene che fa notizia.
C'è un esercito di persone che combatte ogni
giorno una battaglia di civiltà e si impegna per
far fare un passo avanti a chi è rimasto indietro.
Sono storie di accoglienza, generosità, rinascita,
resistenza e coraggio. Storie che parlano di
sognatori capaci di inventare il futuro, per sé e
per gli altri, di costruire dal nulla progetti destinati
a durare. L'imprenditore che apre un
ristorante solidale; il medico che restituisce ai
bambini non solo la salute, ma anche il sorriso;
la ragazza che dopo gli studi diventa contadina,
per far rivivere la sua campagna; il prete
che trova il lavoro ai ragazzi del rione Sanità a
Napoli; il lavoratore licenziato che rimette in
piedi l'azienda. Alcuni di loro hanno fatto notizia.
Altri meno. Insieme rappresentano un
antidoto al pessimismo che ci perseguita. Sono
l'Italia di un nuovo racconto giornalistico.
L'Italia delle good news.