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Il 21 novembre a New York è stata una giornata fredda e piena di sole al contempo, le strade ancora punteggiate dal giallo delle zucche di Halloween, le vetrine traboccanti in vista del Black Friday e il Natale già alle porte, con i primi abeti addobbati all’immancabile Rockefeller Center e alla maestosa New York Public Library. Risalire verso Central Park seguendo il flusso della gente, un passo dopo l’altro, sembrava naturale, quasi un gesto involontario, nonostante la meta fosse ben chiara: la St. John Divine Cathedral, a due passi dalla Columbia University, sulla 110th Street. C’è anche una fermata della metro, Cathedral Parkway. Alle 4 in punto del pomeriggio, nella chiesa si sarebbe celebrata una delle più grandi scrittrici, attiviste, intellettuali americane, scomparsa l’estate scorsa: Toni Morrison. Un evento per molti imperdibile.
Alle 3, tutto intorno all’imponente cattedrale si era già formata una lunga fila di persone: molti neri, moltissimi giovani (alcuni studenti della Columbia, che non sarebbero mancati per nulla al mondo), tante teste coi dreadlock grigi, uomini e donne, proprio come Morrison. Alla fine, dentro la chiesa, sarebbero entrate più di 3.000 persone. Perché non ce ne stavano di più.
Di fianco all’altare campeggia una foto di Toni bellissima, sorridente e regale, con il maglione tortora e la collana di perle, difficile resistere alla commozione. Ma poi inizia subito la straordinaria teoria di ricordi, che si avvicendano sul pulpito, e l’atmosfera si riempie di significato, mentre l’emozione cresce. Le amiche di Toni sono Angela Davis, il cui lavoro Morrison ha curato quando era editor di Random House, Edwidge Danticat, che ci fa sorridere quando ricorda le abitudini di Toni, il suo gusto per le cose belle, e per le cose buone. Parlano scrittori di diverse generazioni, da Michael Ondaatje a Ta-Nehisi Coates, e Jesmyn Ward ipnotizza la platea con un vero e proprio poema in prosa nel quale milioni di africani ridotti in schiavitù per secoli sembrano risorgere grazie alla forza delle parole di Toni Morrison, distillate in romanzi che sono entrati nel canone della letteratura americana. “Noi figli vagabondi”, dice Ward, “abbiamo sentito la voce di Toni Morrison, e lei ci ha salvato.”
E infine, a chiudere la galleria dei ricordi pieni di ammirazione e di affetto, l’energia prorompente di Oprah Winfrey, che descrive il suo primo incontro con Morrison, durante il quale, per la prima e unica volta nella sua vita era rimasta senza parole. E che termina il suo intervento in un crescendo – cita Canto di Salomone, prorompendo in un vero e proprio grido di battaglia:
«Vedete? Lo vedete ciò che potete fare? Non importa se non sapete distinguere una lettera dall’altra, non importa se siete nati schiavi, non importa se avete perduto il vostro nome, non importa se vostro padre è morto, non importa niente. Questo, tutto questo è quanto un uomo può fare se si mette in mente di farlo e se china la schiena per farlo. Smettetela di frignare», diceva. «Smettetela di muovervi ai margini del mondo. Approfittatene, e se non potete approfittarne, rischiate. Noi viviamo qua. Su questo pianeta, in questa nazione, in questa contea. Non da un’altra parte! La nostra casa è in questa roccia, non vedete?! Nessuno muore di fame a casa mia; nessuno piange a casa mia, e se io ho una casa, ne avete una anche voi! Prendetela. Prendete questa terra! Prendetela, tenetela, fratelli miei, createla, fratelli miei, scuotetela, strizzatela, giratela, torcetela, picchiatela, prendetela a calci, baciatela, frustatela, calpestatela, scavatela, aratela, seminatela, fatela maturare, affittatela, compratela, vendetela, fatela vostra, costruiteci sopra, moltiplicatela e tramandatela: mi sentite? Tramandatela!»

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