Parliamo di dislessia con Carlotta Jesi: I MIEI BAMBINI HANNO I SUPERPOTERI

I miei bambini hanno i superpoteri è un libro che dovrebbero leggere tutti i genitori, un libro sulla dislessia che diventa – nel sottotitolo – “nostra”, cioè di tutta la famiglia. Quello che troverete nelle pagine scritte da Carlotta Jesi è proprio il racconto di come la famiglia cambia e prova a comprendere profondamente le esigenze di due bambini, trasformando la loro diversità in una forza che fa bene a tutti. Con qualche difficoltà, certo, ma anche con tanti sorrisi e molta soddisfazione. Ecco l’intervista a Carlotta Jesi.

Ciao Carlotta, anzitutto grazie per il tuo libro: credo che sia una lettura interessante e utile per tutti i genitori, perché racconta come tu sia riuscita a metterti dall’altra parte della barricata (permetti l’abusata metafora della lotta con i figli), cercando il modo migliore di comprendere i tuoi due ragazzi e aiutarli con i loro mezzi, non con i tuoi, cioè quelli di un adulto “normale”. 

Sei ironica e spiritosa, anche diretta e pratica: perché questo libro?

Innanzitutto, per noi. Per i miei figli e, soprattutto, per me: abbiamo passato tante fasi, altalenanti. Scrivere il libro ci ha aiutato a mettere in ordine i pezzi, a capire quanta strada abbiamo fatto dallo smarrimento e dalla confusione iniziale alla consapevolezza, alla scelta di una strada e di una terapia da seguire, alla costruzione di un nuovo universo di riferimento, tutto nostro, popolato di nuovi eroi di ispirazione, di obiettivi, di piccole vittorie da celebrare. L’ironia e le battute sono state, da subito, un modo di guardare anche l’altra faccia della medaglia, di ridere degli errori (tantissimi) che abbiamo fatto noi genitori. Uno strumento per concentrarci non solo sulle difficoltà dei nostri ragazzi ma anche e soprattutto sulle loro potenzialità e i loro talenti.

Da un lato, spero che leggendo queste pagine, oggi o in futuro, i miei bambini si rendano conto di quanto sono speciali, di quanti sforzi hanno fatto e di quante risorse hanno scoperto di avere ed imparato ad usare. Spero si portino a casa per sempre la fiducia nel fatto che le difficoltà si superano e che è importantissimo guardare al futuro con ottimismo e ironia.

Dall’altro, mi auguro che questo libro possa far sentire meno soli altre mamme e papà che, come noi, si sentono spiazzati davanti a queste difficoltà dei figli che per fortuna non sono gravi malattie ma che, comunque, hanno un grosso impatto sulla vita della famiglia. La dislessia è difficile da spiegare agli altri, a occhio nudo non si vede, ogni suo effetto sembra causato dal poco impegno del bambino o dalla poca educazione e attenzione data dal genitore. Non è così: capita di sentirsi abbandonati, dalla scuola in primis, e di non sapere cosa fare. Ecco, mi piacerebbe che il libro aiutasse a non sentirsi così e spronasse bimbi, ragazzi e genitori a trovare la loro, propria, ricetta. Cominciando a guardare cosa i dislessici sanno fare bene e dimenticandosi per un attimo le difficoltà che incontrano in questa o quella materia!

Il tuo libro non è un manuale tecnico ma un racconto: come mai questo taglio?

Di teoria in questi anni ne ho letta tanta, ma, ogni volta, mi trovavo a pensare: ok, ma in pratica, che faccio? Questa difficoltà qui, questo dolore qui, come lo risolviamo? Cosa ci inventiamo per rimettere insieme l’autostima dei ragazzi che è andata in pezzi in classe? Le risposte, più che nei manuali, le abbiamo trovate “sbirciando” in casa nostra. Guardandoci dall’esterno, provando a trattare il giudizio, la rabbia, la fretta, il nervoso che tante volte ti prende osservando tuo figlio che magari fatica a svolgere un compito relativamente semplice o che impiega un secolo a preparare la cartella o la borsa del basket e trovando un ritmo diverso, tutto nostro. Siamo andati avanti, e tuttora procediamo, per tentativi. A volte guidando i nostri figli, a volte facendo un passo indietro e lasciandoci stupire da loro. Tentativi che, fin dall’inizio, abbiamo provato a condividere con gli specialisti che seguono i nostri figli nella terapia, con gli amici più stretti, i parenti, i genitori di altri bambini e ragazzi dislessici scambiandoci dritte, esperienze. Racconti, appunto, delle strategie che ogni giorno ci inventiamo per sostenere i nostri figli e per stare bene in famiglia. 

Cosa vuol dire essere diversi per i bambini, in un mondo che fa dell’omologazione una punto di forza?

Soffrire. Da subito abbiamo raccontato ai nostri figli le storie di persone dislessiche che, proprio il fatto di ragionare in maniera diversa dagli altri, hanno fatto scoperte importantissime per l’umanità o creato grandi opere d’arte, da Einstein a Picasso, per stimolarli ad avere fiducia in loro stessi, a non vergognarsi. La risposta era sempre quella: non mi importa, preferisco essere come tutti i miei compagni. Come dargli torto? Molte volte l’abbiamo pensato anche noi genitori: quanto sarebbe più semplice se non avessero queste difficoltà a scuola che poi esondando anche nelle relazioni con gli altri! Il guaio, con la dislessia, è che ti senti sempre un po’ meno capace degli altri. Noi abbiamo cercato di rispondere a questo senso di inferiorità insegnando ai nostri figli a riconoscere e a usare la creatività e l’immaginazione – che della dislessia sono un po’ l’altra faccia della medaglia – per dimostrare, a loro stessi e agli altri, di essere bravi. Abbiamo il salotto di casa pieno di quadri fatti dal nostro figlio maggiore che ha la passione del disegno, e in particolare del fumetto. Un hobby che incoraggiamo, attraverso cui ha scoperto di essere bravo a tradurre caratteri, situazioni ed emozioni in personaggi, e che, col tempo, è diventato anche un po’ uno strumento di comunicazione in famiglia: i dislessici pensano per immagini invece che per suoni delle parole, così ci siamo adeguati, tante “ramanzine” che a volte i genitori fanno a voce in casa nostra diventano cartelli con dei disegni.

Qual è la cosa più difficile nel processo che porta all’accettazione (da parte di genitori e figli) della dislessia?

Forse ritarare aspettative, obiettivi, sogni che credo tutti abbiamo nei confronti dei figli e che i ragazzi hanno su se stessi. Non perché non si possano raggiungere, certo che si può!, ma trovando tempi, modi, strumenti e strade diverse. Jamie Oliver, il famoso chef inglese, dislessico, ha detto una frase che mi ha fatto molto riflettere, suona più o meno così: essere dislessici non significa che non potrai emergere, ma che non sarai bravo nelle solite cose. Ecco, l’accettazione parte da qui. E’ come quando percorri un sentiero di montagna sbarrato da una frana. Puoi tornare indietro rinunciando a raggiungere la tua meta o trovare un’altra strada, magari più lunga o più impervia, per arrivarci. Il nostro figlio maggiore, disgrafico, che oggi è in seconda media e che finora a scuola se l’è cavata senza usare ausilii con tanti esercizi per potenziare le sue abilità prassico-motorie, comincia a capire che per alcune materie sarebbe meglio iniziare ad usare il computer nei compiti a casa e a scuola. Non è un momento facile, è combattuto tra la paura di presentarsi in classe con un computer perché teme le prese in giro dei compagni e la voglia di raccontare nei temi tutto quello che ha dentro senza dover combattere con la scrittura. Insomma, l’accettazione è un processo continuo…

Mamme no panic – Intervista doppia

MAMME NO PANIC Ecco un libro capace di non fare mai sentire sola una mamma, perché descrive con realismo ed empatia le paure più diffuse e le emozioni più frequenti con cui le donne devono fare i conti quandi si trovano con un cucciolo tra le braccia.

Le due autrici Francesca Santarelli e Giuliana Arena si sono intervistate reciprocamente, per raccontarci qualcosa in più del loro MAMME NO PANIC.

GIULIANA: Francesca, quando e in quale momento della tua vita ti è venuta l’idea di questo libro? E perché hai pensato proprio a me per realizzarlo?

Ho sempre pensato che prima o poi avrei scritto un libro, ma non sono mai stata motivata a tal punto da tradurre in pratica questo desiderio. Alla nascita del mio primo figlio invece, i pensieri e i vissuti che provavo sono stati talmente forti e intensi, che ho sentito il bisogno di tradurli in qualcosa di scritto. Desideravo inoltre, comunicare e condividere con altre mamme la mia esperienza personale, cercando di coniugare la mia stessa identità di madre con quella di psicoterapeuta che si è occupata da sempre della tematica della maternità. Sentivo il desiderio però di condividere questa avventura con una compagna di viaggio e, avendo sentito parlare del tuo blog, mi sei sembrata la persona perfetta!  Sei una donna e una mamma con una grande esperienza in tema di maternità e con la capacità di trattare ogni tematica con profonda sensibilità, attenzione e ironia!

FRANCESCA: Giuliana, e tu perché hai aderito subito con entusiasmo al mio progetto? Cosa hai pensato quando ti ho chiamata quel pomeriggio, senza che ci conoscessimo?

Sono stata contentissima! Proprio in quel periodo mi ritrovavo spesso a pensare che fosse arrivato il momento di mettere ordine alle riflessioni e alle considerazioni sparse che avevo fatto in tanti anni di blog. E poi mi piaceva l’idea di scrivere un libro in cui parlassero una mamma e una psicologa (tra l’altro mamma anche lei). Mi sembrava una bella occasione di confronto.

GIULIANA: Francesca, perché hai pensato che dovessimo concentrarci sul primo anno di vita del bambino?

Mi sono rifatta molto alla mia esperienza personale. Per quanto preparata a livello teorico, non posso negare il primo anno di vita di mio figlio mi abbia messa a dura prova dal punto di vista emotivo. Mi sono resa conto che l’essere madre, inizialmente, è sì meraviglioso, ma anche faticoso in termini di incertezze, insicurezze ed emozioni contrastanti. Confrontandomi con altre mamme, e mettendomi sul loro stesso piano, mi sono resa conto che non ero l’unica a provare tutto questo. Ecco perché ho ritenuto importante parlare del primo anno di vita del bambino: secondo me è davvero quello il periodo in cui ogni mamma ha maggiore bisogno di sentirsi meno sola e di trovare, magari, una guida aperta e sincera.

FRANCESCA: Giuliana, le situazioni, i dubbi, le paure descritte nel testo quanto fanno parte della tua esperienza diretta di mamma?

Certo, mi sono ampiamente basata sulla mia esperienza, ma non solo. Ho anche ascoltato molto i pensieri, le preoccupazioni e i timori delle altre mamme che conosco direttamente e delle lettrici del mio blog. Di dubbi, ansie e sensi di colpa, indubbiamente, ne ho avuti molti anch’io…e continuo ad averne, per la verità!

GIULIANA: Per te, Francesca, quale è stato il capitolo più difficile da scrivere? Quale l’argomento che ti ha riguardato più da vicino nella tua esperienza di mamma, tanto da rendere più difficile parlarne da professionista?

Non ho dubbi: quello del sonno! Mio figlio non ha mai dormito nel primo anno di vita e credo che sia stato il periodo più duro di tutta la mia vita personale e di madre. Mi ero sempre ripromessa di mettere in atto teorie studiate, applicate e suggerite da altri. Mi sono sentita in colpa attribuendo a me la responsabilità che mio figlio avesse un sonno cosi disturbato. Quando, alla fine, mi sono arresa a seguire solo il mio cuore e, per me almeno, ha funzionato. Lo intuirete leggendo il capitolo!

FRANCESCA: E per te, Giuliana? Quali i temi che ti hanno maggiormente toccata?

L’allattamento al mio primo figlio mi ha messa un po’ in difficoltà e sono riuscita a portarlo avanti solo quando ho lasciato perdere tutti i commenti altrui e ho seguito il mio istinto…il bambino era perennemente attaccato, per me questo non era un problema, ma qualcuno mi criticava dicendo che doveva avere degli orari. Alla fine sono riuscita a fare di testa mia…ci ho messo un po’ però: non ti conoscevo ancora, ahimè! E poi il pianto del bambino…con il mio primo figlio impazzivo, mi sentivo veramente male quando lo sentivo piangere, tanto che, scrivendo, ho rivissuto quella sensazione di panico e impotenza.

GIULIANA: E tu Francesca, riesci sempre a essere una “mamma no panic”? Come riesci a conciliare il tuo essere mamma con il tuo ruolo professionale?

Assolutamente no! Fuori dalle vesti di psicoterapeuta e fuori dalla porta del mio studio, posso garantirti che sono una madre come tutte le altre! Ho le mie ansie, il mio panico di fronte a certe situazioni, vivo sempre sensi di colpa come tutte e mi metto costantemente in discussione! Non è affatto facile conciliare le mie conoscenze “psi” e tutte le teorie studiate con la vita pratica del rapporto con i miei figli.

Credo che proprio questo, nel primo anno di vita di mio figlio, abbia complicato molto il mio vissuto. Volevo a tutti costi essere “brava”, non commettere errori, sfruttare al meglio le mie conoscenze pensando che sarei stata per questo una madre migliore. Volevo applicare le teorie di cui ero a conoscenza senza pensare che in questo modo non vedevo mio figlio e quello che lui veramente era, ma vedevo davanti a me le pagine scritte e stampate di testi e manuali. Ho poi capito che questo atteggiamento era un errore perché mi faceva perdere tanto nel rapporto con il mio cucciolo.

Posso dire in questo senso di essere cresciuta molto sia a livello personale che professionale insieme al mio bambino.

FRANCESCA: E tu, Giuliana, che mamma sei?

Non proprio organizzatissima, direi, un po’ pasticciona, ma allegra, quello sì.  

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