IL PRANZO SPECIALE – Paolo Pizzo

Dopo il primo articolo, in cui Paolo Pizzo ha raccontato la tensione che ha preceduto la gara Olimpica di Rio 2016, ecco un nuovo appuntamento in cui racconta il pranzo speciale prima della sfida.

IL PRANZO SPECIALE di Paolo Pizzo

Prima di arrivare in pedana in quel magico 14 agosto, c’è un’altra cosa che devo raccontarvi. E’ capitata subito dopo la prova individuale quando, come vi spiegavo, la tensione era altissima per via della prestazione assai deludente per ognuno di noi della squadra di spada. Tutti preferivamo restare chiusi nei nostri pensieri, quando il mental coach, Luigi Mazzone, ci disse: «Oggi si va tutti a pranzo insieme a casa Italia con il gruppo di ragazzi autistici».

E qui c’è da aprire una parentesi, perché Luigi Mazzone oltre a essere stato un ottimo spadista oggi è un neurochirurgo infantile apprezzato a livello internazionale. Da tempo segue un gruppo di ragazzi autistici, non solo all’ospedale Bambin Gesù, ma anche attraverso l’accademia «Lia» – così chiamata per ricordare la moglie di Gigi prematuramente scomparsa – dove questi giovanissimi praticano la scherma. Dall’idea che da tempo coltiva («Le cure per l’autismo devono valicare le mura ospedaliere»), Mazzone è riuscito a realizzare un progetto incredibile: portare all’Olimpiade un gruppo di otto ragazzi, accompagnati solo da assistenti e psicologi. Un’esperienza fantastica per loro e anche per noi spadisti, che da tempo li conosciamo e siamo loro affezionati.

Ma quando quella mattina Gigi ci disse che avremmo pranzato tutti insieme a Casa Italia, la reazione nostra non fu proprio entusiastica. Più che altro volevamo nasconderci come tartarughe nel proprio guscio. Marco Fichera si «azzardò» a rispondere: «A Casa Italia ci andremo solo se riusciremo a salire sul podio. Dopo, non prima». Sia chiaro nessuno di noi si è mai tirato indietro a dare una mano a Gigi nella sua attività medica e volontaristica, ma in quel momento c’era poca voglia di «aprirsi» verso il mondo: Andrea, Enrico, Marco e io avevamo solo bisogno, secondo noi, di silenzio e concentrazione, senza alcuna distrazione esterna. Ma siccome Mazzone ha dimostrato in più occasioni di saper trovare la chiave giusta per stimolarci, accettammo poco convinti quello che più di un invito… era un obbligo. E ancora una volta Gigi ha avuto ragione. Pranzare insieme a Jacopo e agli altri ragazzi ci ha aperto la mente. Stando con loro, con semplicità, passandosi una posata o porgendo la bottiglia dell’acqua, ti accorgi quali solo i valori veri della vita. A quel punto il tuo eccesso di ego si sgonfia e ritrovi la voglia di ascoltare gli altri. In quel pranzo a Casa Italia, i ragazzi del Progetto Lia erano elettrizzati, noi spadisti felici di aver ritrovato equilibrio e un pizzico di serenità. Lo sfogatoio in camera, che vi ho raccontato nella precedente puntata, ha fatto il resto.

Ed eccoci al mattino del 14 agosto. Alle 10.30 siamo sulla pista verde per affrontare la Svizzera, un avversario che ha le nostre stesse ambizioni e schermidori di assoluto valore internazionale. Un anno prima, nel Mondiale di Mosca, ci hanno battuto nella finale per il bronzo, togliendoci la gioia di poter salire sul podio. Sono i quarti di finale: passare significa essere in zona medaglia. In queste gare la partenza è importantissima. Marco Fichera conclude il primo assalto con una stoccata di vantaggio su Fabian Kauter. Buon segno. Tocca a me e mi ritrovo davanti Max Heinzer, lo stesso che mi ha eliminato nei sedicesimi dell’individuale. Testa e gambe stanno bene e cominciano a girare in sintonia: attacco sciolto e chiudo la frazione 4-2. Subito dopo Enrico Garozzo rifila un pesante 6-2 a Benjamin Steffen. Ci siamo, eccessi di nervosismo e negatività sono alle spalle. L’individualità lascia il passo al senso di squadra: siamo un’orchestra e regoliamo gli svizzeri con un netto 45-32. In semifinale ecco l’Ucraina, campione del mondo in carica, che ci aveva battuto proprio nella semifinale a Mosca un anno fa.

Ma anche in questo caso partiamo benissimo e alla fine del primo turno di assalti siamo avanti di 5 stoccate. C’è sintonia nei nostri sguardi. Ognuno, dopo una botta vincente, si rivolge al resto della squadra: ci cerchiamo, sentiamo l’impresa vicina. Personalmente mi succede qualcosa non semplice da descrivere. Sto bene: lo capisco perché leggo in anticipo le mosse dell’avversario, quella frazione di secondo che ti consente di parare e colpire. Ma soprattutto sento il braccio sciolto, quasi che fosse telecomandato dall’alto. Sì, questa convinzione non me la toglierà mai nessuno: quel risultato olimpico è stato possibile perché il mio grande Maestro, Oleg Pouzanov, scomparso l’anno scorso, mi ha guidato da lassù. Lo sento, ne sono sicuro. Vinco tutti i miei assalti con gli ucraini, urlo come un forsennato, ma quando Marco Fichera chiude l’incontro sul 45-33 la nostra esultanza è contenuta, anche se ci siamo già assicurati una medaglia: un risultato impensabile poco più di un anno prima e chi ha letto La stoccata vincente sa di cosa parlo. Sappiamo che in finale ci attende la Francia e vogliamo provare a vincere l’oro, non possiamo perdere concentrazione con eccessi di esultanza.

Loro sono i favoriti, ma qualche volta in stagione siamo riusciti a batterli. Stavolta non concedono molto, non sbagliano nulla. Noi non siamo da meno ma stiamo sempre a inseguire. Alla fine vincono meritatamente e negli assalti finali riesce a essere protagonista anche Andrea Santarelli. In noi prevale la gioia per un argento eccezionale, non l’amarezza di una finale persa. Per anni abbiamo lavorato duro per stare lassù, per salire sul podio olimpico sognato sin da bambini. Per mordere e rimordere quella medaglia che ci rende felici. Festeggiamo con un tricolore che sul bianco ha disegnato il viso di Lia, la moglie scomparsa di Luigi Mazzone, giusto tributo a un uomo eccezionale, fra i più importanti per raggiungere questo nostro risultato. Quando salgo con i miei compagni-amici sul podio mi ripassa davanti tutta la vita. Mi godo questi momenti: incontro a distanza lo sguardo umido di lacrime di Lavinia, mia moglie. Penso alla gioia che provano mamma e papà, rifugiati nel buen ritiro di famiglia a Marathias, a mia sorella Marina. Mi godo con pienezza qualcosa che mi fa sentire completo, come atleta ma soprattutto come uomo. 

RIO, QUELLA LITIGATA CHE CI HA PORTATO SUL PODIO – Paolo Pizzo

Ecco il primo di quattro appuntamenti con Paolo Pizzo, in cui il campione italiano racconterà la sfida di Rio 2016.

RIO, QUELLA LITIGATA CHE CI HA PORTATO SUL PODIO

di Paolo Pizzo

L’Olimpiade è qualcosa che ti può travolgere, per le emozioni fortissime che ti dà. Avevo già l’esperienza di Londra, che nel libro definisco un grande frullatore: proprio perché se ti fai prendere emotivamente rischi di perdere concentrazione in gare che diventano velocissime e si decidono in pochi attimi. Ma non è detto che basti nemmeno l’esperienza. Noi della spada, puntavamo molto sulla gara a squadra, ma logicamente quando il 9 agosto siamo scesi in pedana per la gara individuale, ognuno di noi sognava la “giornata perfetta”, quella che io ho vissuto nel 2011 nella mia Catania, vincendo il Mondiale: quel mix perfetto fra condizione fisica e mentale. Purtroppo non è andata come speravamo: io e Marco Fichera siamo usciti al primo turno, Enrico Garozzo al secondo. Mentre Andrea Santarelli, causa regolamenti discutibili, non ha potuto tirare. Questo ci ha resi particolarmente nervosi e irascibili. Con Enrico la sera abbiamo sfogato la rabbia su una serie di double-burger, ma se la fame passava, la tensione restava.

In queste fasi so di diventare insopportabile e per me è stata fondamentale la presenza a Rio di Lavinia, mia moglie. Fra noi l’intesa è perfetta ed essendo anche lei un’atleta a livello internazionale – pentatleta per la precisione – sa capire i momenti in cui un silenzio vale più di una carezza e quando una coccola è più efficace di un allenamento.

Quattro giorni per preparare la gara a squadre per quella medaglia sognata possono essere tanti o pochi, dipende come li affronti. Fisicamente in palestra fai solo un lavoro di mantenimento, tecnicamente e tatticamente parlando siamo preparatissimi, perché il c.t. Sandro Cuomo ha affidato l’analisi degli avversari al maestro Dario Chiadò: attraverso video e altre informazioni acquisite, noi sappiamo di ogni singolo avversario caratteristiche, punti forti e deboli, insomma tutto quello che serve per impostate in maniera tatticamente impeccabile ogni assalto.

Ma per certi versi l’aspetto più importante diventa quello mentale. E qui entra in campo una persona fondamentale: il nostro mental coach, Luigi Mazzone, catanese anche lui, come me, Enrico e Marco, mentre Andrea Santarelli di Foligno per noi affettuosamente è l’oriundo o l’extracomunitario. Luigi è un neuropsichiatra infantile e il suo vero capolavoro a Rio è stato un altro, ma di questo vi parlerò nella prossima puntata di questo mini-blog. Luigi è stato campione italiano di spada nel 2002 quindi conosce l’arma, le difficoltà tecniche e ovviamente quelle mentali. Ci guardava e capiva che qualcosa non andava. Il nervosismo, per la gara individuale andata male, era dissimulato da tutti noi, ma in effetti covava in maniera preoccupante e questo non era utile alla dinamica di squadra. E allora a soli due giorni dalla gara, Mazzone ci ha presi tutti e quattro e ci ha chiuso in una stanza del villaggio olimpico. Beh, in pochi attimi si è scatenato l’inferno.

Ognuno di noi si è sfogato senza freni inibitori e se non ci siamo messi le mani addosso è perché siamo tutti ragazzi educati e di buona famiglia. Quegli urli, quegli insulti, sono stati “trasformati” in maniera magistrale da Mazzone che nelle nostre menti li ha tramutati in carica positiva. Così le nubi fra noi si sono diradate, abbiamo ritrovato quella sintonia che dall’estate del 2015 ci aveva portato a rimontare parecchie posizioni del ranking e a centrare una qualificazione olimpica complicata.

Ora eravamo pronti a salire sulla pedana con lo spirito giusto per inseguire il sogno e la medaglia. Il finale già lo conoscete. Ma il resto del racconto alla prossima puntata con tanti altri retroscena.

E dopo la lite, un pranzo speciale! Leggete il seguito qui!

Paolo Pizzo alle Olimpiadi di Rio

Paolo Pizzo campione alle Olimpiadi di Rio

Con i tre compagni della squadra nazionale di spada – Enrico Garozzo, Marco Fichera e Andrea Santarelli – Paolo Pizzo ha regalato all’Italia una medaglia d’argento alle Olimpiadi di Rio.   

Con la sua voglia di vincere, lo schermidore, campione mondiale nel 2011, ha collezionato molti titoli, ma soprattutto è riuscito a sconfiggere l’avversario più pericoloso: il tumore al cervello che a 14 anni avrebbe potuto allontanarlo per sempre dalla pedana.

Nel libro La stoccata vincente Paolo  racconta la sua storia e la battaglia che lo ha riportato sul podio.

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