Ti regalerò un bosco di pioppi sul fiume Adige. Ti donerò le mie trecce piene di sogni. Ti offrirò un letto di piume sotto i meli. Ti darò una boccetta di lacrime mattutine e una di rosolio per la sera. Questo è il maglione caldo di mio fratello Genesio che ti salvi dal freddo del marmo. Ti cedo questa cartolina di mio marito caduto che mi ha disegnato il castello di Duino. Cederò ogni anno metà del mio vino, perché bevano tutti al tuo ricordo. Ti lascio il medaglione con la mia pallida bambina scomparita nel frumento. Ti dedicherò la prossima città che fonderò in Paraguay.
Queste erano una piccola parte delle lettere e degli oggetti che furono gettati su uno dei carri vuoti del treno che trasportava la bara del milite ignoto ch’era partito il mattino del 29 di ottobre del 1921 dalla stazione di Aquileia e che sarebbe arrivato a Roma la sera del primo novembre. All’arrivo occorsero ben venticinque camion e una trentina di trattori d’artiglieria per trasportar i fiori e gli oggetti che vi eran stati deposti.
Rivedendo quel treno che a passo d’uomo attraversava le campagne e le colline del Friuli, del Veneto, dell’Emilia, della Toscana e del Lazio e che raccolse intorno a sé otto milioni di persone che andarono a piedi a salutarlo, ci appare un’Italia contadina, profondamente mortificata e scioccata dalla più dura guerra che avesse mai visto, ma unita sul quel ragazzo senza nome. Un paese ancora ferito, ma avvolto in una lunga e lacera coperta di Pietà per quel soldato che rappresentava per ognuno il padre, il marito, il figlio, il fratello che avevano perduto.
Il viaggio di quel treno correva su un affresco di Misericordia tra la commossa partecipazione di una nazione che s’era formata da poco e da poco cominciava ad avere un unico cuore ed un unico sentire. La Grande Guerra era finita da tre anni, ma quell’incantato fiume di parole creato da quattro miliardi di lettere scritte durante il conflitto, rappresentava il primo vero epos italiano: uno sconfinato e toccante documento di racconto collettivo.
Un paese come il nostro ancor oggi così carente di un’epica condivisa, dove anche gli eroi del Risorgimento sono confutati e discussi, l’invenzione del Milite Ignoto ed il suo leggendario viaggio dalla Basilica di Aquileia all’Altare della Patria rappresenta invece e finalmente una letteratura popolare nuova e partecipe La grande pianura che andava dall’Isonzo al Po, era attraversata e avviluppata in chilometri e chilometri di lettere, con inchiostro azzurro e color sangue, da stagni di lacrime e maledizioni dove volava come una libellula la una giovane Dea Speranza che cambiava il colore degli occhi e dei sogni al nostro avventurato paese, che come una sposa aveva iniziato a riconoscersi nel suo amato prima ancora di conoscerlo. Aveva iniziato a scriverlo prima che a leggerlo. Ad amarlo prima d’averlo incontrato. Lungimiranze sentimentali dovute alle vertigini della povertà e del disastro incombente che ci avevano disperso a lungo per poi unirci su un giovine martire sconosciuto.
Quello che appariva infine dopo il trionfante strazio di quella Via Crucis su rotaie era una nazione riconciliata dalla morte del suo figlio ultimo e dimenticato, diventato alfine l’ultimo figlio amatissimo.
Dobbiamo impegnarci quindi a rappresentare questa tragedia e a rinnovarne la memoria, che non è solo storia e dramma, ma è soprattutto poesia e racconto rapsodico, musica da cantare e versi di canzoni semplicemente immortali.
Questo è doveroso da parte nostra verso le nuove generazioni per ridare loro una mappa a colori di com’erano i sentimenti di un secolo fa, così diversi da adesso: l’amore coniugale, la devozione filiale, lo spirito del sacrificio, la parola data, la indiscussa lealtà ed il rispetto per le persone e le cose desiderate e necessarie, sudate e guadagnate.
Il coraggio, dicono, salta sempre una generazione ed è proprio per questo che ogni generazione deve tenere a memoria il coraggio delle precedenti ed anche il semplice ricordarlo aiuta chi questo coraggio non ha avuto e non se lo può donare.
Eschilo sulla sua tomba fece scrivere solo e soltanto che aveva combattuto a Maratona, nonostante i sui innumerevoli meriti letterari. Quella guerra contro i Persiani e quella battaglia dove perse un fratello e dimostrò il suo , era tutto ciò che voleva che di lui fosse ricordato e questo fu il suo ultimo regalo per tutti noi.
Massimo Bubola