Esiste un dolore che resta. È quello di un amore a cui si è sopravvissuti. La giusta distanza, il mio nuovo romanzo, parla anche di questo. C’è una ragazza troppo giovane per capire la forza di un amore che sta per nascere quando il ragazzo che le infonde tanta gioia muore improvvisamente, e un uomo adulto che viene allontanato perché rimanere soli con certi sentimenti è troppo doloroso.
Tutto intorno appare un mondo del quale non si fa più parte. È come guardare una porta pesante che si chiude lasciandoti fuori, da solo. Iniziano i ricordi, quelli del prima: l’ultimo mattino, l’ultimo desiderio condiviso, l’ultima sciocchezza che aveva saputo strappare un sorriso. Poi, inizia il cammino lento su una corda tesa sopra il vuoto, in attesa che quel tempo necessario per elaborare un dolore fisiologico decida almeno di cominciare. Un tempo incomprimibile. Un tempo senza dimensione. Un tempo crudele che un giorno potrà impedirti di ricordare il suo volto, di sapere la consistenza esatta della sua pelle o di riconoscere il rumore dei suoi passi. E così, quando tutto questo comincerà, si percepirà che quell’amore non sostituiva niente e non ne esisterà mai un sostituto, sarà uno spazio caldo accanto al quale qualcun altro si potrà semplicemente accomodare. Qualcuno che avrà la fortuna di potersi offrire, di mettersi a nudo e di esprimere a modo suo lo slancio verso di noi, ma anche di viverci, di contraddire le nostre certezze, di farci rinascere come un bagliore accecante, un proiettile sparato da vicino. A quel punto spetterà a noi essere all’altezza, senza balbettii ed esitazioni, lasciando però che resti la certezza della provenienza di tutto quel calore che ci anima.