Sono la loro città, Torino. Il resto è ossigeno.

Ho visto Arturo e Sara conoscersi in riva al Po, una notte d’estate: tanta musica, qualche sorriso timido e nulla di più. Li ho rivisti qualche anno dopo, a San Salvario. Io stavo rinascendo, stavo lavando via dai miei muri il grigiore del passato, e i turisti si stavano accorgendo di me e della mia bellezza. Sono passati gli anni, io sono diventata la città delle Olimpiadi, dei musei e dell’arte, e loro due erano sempre qua, fra le strade del centro, impegnati a costruire la famiglia che avevano scelto. Mano nella mano, il sabato mattina a fare la spesa a Porta Palazzo, la sera a cena, seduti in un’osteria, e tutti i giorni, nella straordinaria normalità delle coppie felici.

E poi li ho visti a un bivio, ho visto Arturo scappare disperato, la cravatta allentata e il respiro corto, e Sara ferma al suo posto, traballante ma decisa a mandare avanti una vita cambiata all’improvviso. 

Custodisco tutti i loro ricordi, tutti, uno dopo l’altro, appiccicati ai muri, nascosti nei portoni, abbandonati nelle strade.

Chissà se serve ritrovare chi sei stato, per poter capire chi sarai domani.

Lui è Arturo. Il resto è ossigeno.

Se avesse dovuto parlare di sé un mese fa, Arturo non avrebbe avuto problemi. Una moglie, una figlia, un lavoro interessante, tanti viaggi in giro per il mondo. Quella voce bambina che lo accoglieva ogni sera, e gli occhi di lei, della donna che ha sposato, che sapevano capire al volo che tipo di giornata aveva vissuto.

Oggi però non è semplice per lui raccontarsi. C’è stato un giorno, era il 5 di aprile, in cui è scappato via da tutto. Da loro due, dal suo lavoro e dalla sua vita.

Ha cominciato a camminare, ore e ore in giro per Torino. Più cammina più lo raggiungono i ricordi: il ragazzo che era, i sogni che a un certo punto ha smesso di ascoltare, le scelte che ha fatto senza accorgersene.

Lui è Arturo, un uomo normale che non riesce più a riconoscersi.  

Lui è Arturo. Il resto è ossigeno.

E qui si racconta Sara. 

Qui, invece, parla la loro città, Torino.

Io sono Sara. Il resto è ossigeno

Amo il cielo su Torino quando è azzurro, ed è di un azzurro pieno, unico, intenso.

Amo le montagne che ci circondano e questo potersi sempre orientare: a ovest le Alpi, a est le colline.

Amo giocare con mia figlia, Giulia, di 7 anni, basta che non mi chieda di inventare giochi: che mi guidi lei, che decida lei se devo essere la nonna di Cappuccetto Rosso, un minipony o la cugina di Barbie. Mi piace quando lei è la regista, e io recito per farla felice.

Amo viaggiare. Per lavoro, quando sono a cena la sera in hotel da sola e osservo le persone e immagino le loro storie. Ma amo anche tanto, tantissimo, viaggiare con la mia famiglia, e ho ancora nel cuore tutti i posti in cui siamo stati insieme. Parigi, gli Stati Uniti, Londra, ma anche le Langhe, in quelle domeniche mattina nebbiose in cui un piatto di vitello tonnato e un bicchiere di vino rosso ti scaldano la pelle e il cuore.

Amo essere mamma, ma amo tanto anche il mio lavoro. Mi occupo di comunicazione in una grande azienda, ed è quello che ho sempre voluto fare, fin da quando ero una studentessa universitaria.
Ho avuto un’infanzia felice, se per felice si intende il non subire grandi traumi e il sorridere spesso. Ma quando cresci e diventi genitore a tua volta, ti succede di fare degli errori, e di vedere in quegli errori le tracce di chi ti ha cresciuto.

Mi sono divertita, ho ballato, mi sono innamorata in quegli anni in cui hai tutta la vita davanti e sei troppo impegnata a ridere per rendertene conto.

Una notte d’estate ho conosciuto l’uomo che poi è diventato mio marito e il padre di mia figlia. Abbiamo costruito una quotidianità, giorno dopo giorno, fatta di calore, di supporto e di amore. O almeno, questo è quello che pensavo.

Mi chiamo Sara, e mio marito Arturo se n’è andato di casa il 5 aprile, poco meno di un mese fa, e io sto vivendo questi giorni come anestetizzata.

So che sono stata felice. So che ho amato il senso di calore e di famiglia del tornare a casa la sera e cenare tutti insieme, d’inverno, con il freddo appiccicato alle finestre e le chiacchiere che raccontano la giornata passata.

Ma non so cosa succederà domani, e forse non so nemmeno cosa sia successo davvero ieri, e l’altroieri.

Io sono Sara, lui è Arturo e qui parla la nostra città, Torino. Il resto è ossigeno.

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