Il caso Moro spiegato ai ragazzi

Il caso Moro spiegato ai ragazzi

di Alessandro Bongiorni

articolo comparso il 15.03.2018 su DonnaModerna.com

 

Lo statista democristiano fu rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978. Un giovane scrittore, che parla del sequestro nel suo ultimo romanzo, qui racconta perché è stato il nostro 11 settembre

E ra il 25 settembre del 1974 quando Henry Kissinger, potentissimo Segretario di Stato americano, premio Nobel per la pace l’anno precedente, minacciò di morte Aldo Moro: «Se non cambia la sua linea la pagherà molto cara» berciò, alludendo alla politica di apertura che Moro, democristiano doc, aveva intrapreso nei confronti del Partito comunista. Dopo l’incontro, Moro ebbe un malore. Interruppe la visita di Stato – in quei giorni, in veste di ministro degli Esteri, si trovava in viaggio ufficiale negli Stati Uniti – e tornò in Italia di corsa. Ma non indietreggiò di un passo. Al contrario, tirò dritto per la sua strada. Fino alla fine. Basterebbe questo episodio per comprendere la rilevanza della figura di Moro. Ma se a 40 anni dalla sua scomparsa dovessi raccontare a qualcuno cosa abbia reso indimenticabile quest’uomo non mi soffermerei né sulla sua biografia né sul suo operato politico, entrambi comunque ricchissimi.

Cattolico, antifascista, professore universitario, rifondò la Dc dopo la guerra e ne fu sia segretario che presidente. In Parlamento dal 1946, partecipò alla Costituente e fu 2 volte premier e 4 volte ministro. Ma quello che lo consegna al mito, un mito tragico, è il sentimento comune scaturito dal suo sequestro e dal successivo omicidio: una risposta intestina a qualcosa percepito fin da subito, e dalla maggior parte di noi, come sporco e indelebile.

All’epoca del rapimento nemmeno io c’ero: sono nato 7 anni dopo. Ma dalle testimonianze che ho raccolto per scrivere Strani eroi ho scoperto che non esiste persona, da nord a sud e di qualsivoglia estrazione sociale o politica, che non ricordi nitidamente cosa stesse facendo il 16 marzo 1978. Che non ricordi il momento esatto in cui è venuta a sapere che un commando delle Brigate Rosse aveva rapito il presidente della Democrazia Cristiana e trucidato i 5 uomini della sua scorta, 3 dei quali poco più che ragazzi.

Per quelli della mia generazione, da questo punto di vista, la portata del sequestro Moro è qualcosa di paragonabile all’11 settembre: quel pomeriggio del 2001, ad esempio, ero appena entrato in casa e ho assistito allo schianto del secondo aereo dirottato dai jihadisti contro la Torre Sud nella sala di casa mia, in piedi accanto alla libreria. Sembra ieri. Anche a chi ha vissuto i giorni caldi e confusi del sequestro Moro continua a sembrare ieri. E anche in quel caso si è creata una sorta di memoria collettiva – e spesso condivisa – che l’Italia, un Paese da sempre e per sempre frammentato, ha conosciuto solo in pochi frangenti della sua storia.

A mantenere vivido il ricordo di quei fatti c’è anche, o soprattutto, l’enorme senso di incompiutezza davanti a quella verità zoppa che ancora oggi – dopo 40 anni, 7 processi e 1 commissione d’inchiesta – alberga in tutti noi. Anche in chi, come me, quel giorno non c’era.

 

ALDO MORO, UN MISTERO ITALIANO

16 marzo 1978
A Roma, in via Fani, un commando delle Brigate Rosse sequestra Aldo Moro che sta andando alla Camera per la fiducia al governo. La scorta viene uccisa.

18 marzo 1978
Le Br fanno ritrovare il primo di 9 comunicati.

23 marzo 1978
Pci e Dc adottano la linea della fermezza: nessuna trattativa per liberare Moro.

20 aprile 1978
Dopo una serie di errori investigativi e abbozzi di trattativa, le Br comunicano di avere terminato il processo a Moro.

5 maggio 1978
Moro scrive alla moglie: «Tra poco mi uccideranno. Ti bacio un’ultima volta, Norina».

9 maggio 1978
In via Caetani la polizia trova il corpo di Moro, ucciso a colpi di pistola, nel bagagliaio di una Renault R4 rossa.

L’INVERNO STA FINENDO…

Manca poco più di un mese alla fine dell’inverno, tra olimpiadi e campagna elettorale. Ma se al curling e ai talk-show preferite i romanzi, Frassinelli ha qualcosa da proporvi.

 

«In quelle acque profonde Luc non cerca forse una donna, una madre dentro il mare?»

Il 20 febbraio esce “Il principe della città sommersa” del romanziere canadese Denis Thériault, che racconta la struggente amicizia tra due ragazzi senza niente in comune a parte la loro solitudine.

#DenisThériault #IlPrincipeDellaCittàSommersa

«Perciò ho voluto raccontartela la mia storia, perché finisse scritta in mezzo a queste storie di donne.» Donne che si raccontano, e raccontano la violenza subita dagli uomini, nel nuovo romanzo di Tea Ranno, “Sentimi”, che uscirà il 27 marzo. Perché la memoria è l’unica forma di riscatto.

#TeaRanno #Sentimi

 

«Questo è un romanzo in cui si narra di fatti realmente accaduti, di altri che non sono accaduti e di altri ancora che sarebbero potuti accadere.» Nello scenario drammatico e oscuro dei giorni del rapimento di Aldo Moro si muovono i personaggi del nuovo romanzo di Alessandro Bongiorni, che uscirà il 6 marzo. “Strani eroi” i cui destini finiranno per intrecciarsi nel grande, tragico imbroglio che è l’Italia degli anni Settanta, dove niente è mai quello che sembra.

#AlessandroBongiorni #StraniEroi

 

«La notte del primo marzo 1860 quattro uomini salparono da Palermo alla volta di Caprera per rapire la donna di Giuseppe Garibaldi. Nessuno di loro aveva progettato il viaggio, né scelto liberamente di prendervi parte.» Questi quattro uomini si chiamano Attìa, Panc, Salvatore Paradiso e Andrea Foti detto “u’ Muz­ziaturi”, e sono gli indimenticabili protagonisti del nuovo romanzo di Isidoro Meli, “Attìa e la guerra dei gobbi”, che uscirà il 13 marzo.

#IsidoroMeli #Attìa #LaGuerraDeiGobbi

 

Io, me e Winslow – di Alessandro Bongiorni

Il mio rapporto con Don Winslow è iniziato in modo molto romantico. O almeno, io la vedo così.

Sei anni fa entrai alla Libreria del Corso di corso San Gottardo a Milano (che adesso, purtroppo, ha chiuso i battenti per lasciare spazio a una catena di dentisti) e mi rivolsi ad Alice, la libraia. Le domandai: «Cosa mi fai leggere?».

Lei, che nel corso degli anni aveva imparato a conoscermi, si diresse sicura verso lo scaffale di destra. Tornò poco dopo con due libri: L’inverno di Frankie Machine e Il potere del cane. Nel dubbio, li presi entrambi.

Qualche giorno dopo iniziai L’inverno di Frankie Machine. Quando lo finii, feci quello che faccio ogni volta che finisco un libro che ho amato particolarmente: niente.

Nel senso che per un po’ non leggo più niente. Ho bisogno di continuare a pensare a quel libro.

Nel 2010 ero alle prese col mio secondo romanzo, avevo un piccolo editore senza distribuzione e andavo in giro per librerie con in spalla uno zaino bordeaux (l’ho ancora, anche se adesso il bordeaux tende al nero) a proporre il mio precedente romanzo «da tenere in conto deposito». Tra un «no» e un «nì», successe qualcos’altro: arrivò l’estate, andai in Sardegna e mi portai dietro Il potere del cane. Divorai le sue 715 pagine in soli quattro giorni. Un paio di pomeriggi evitai perfino di andare in spiaggia perché questo avrebbe comportato l’interruzione – seppur momentaneamente – della lettura, e io da quel libro non mi ci volevo staccare. Non potevo!

C’erano Art Keller, i Barrera, Antonio Ramos, Nora Roberts, Sean Callan, padre Juan Parada, Sal Scachi, el Tiburon, le guerre tra narcos. Come facevo a mollare tutto così?

Quell’estate sancì definitivamente una cosa: nel mio modo di intendere la letteratura sarebbe esistito un prima de Il potere del cane e un dopo Il potere del cane. E non si tratta di copiare, o di scimmiottare. Niente affatto. Si tratta di capire quale direzione si vuole prendere. Cosa si vuole fare da grandi.

Io lo capii davvero nell’estate del 2010.

Ecco perché due anni fa, quando venni a sapere che “il vecchio Don” avrebbe presentato Missing. New York alla Feltrinelli di piazza Piemonte, a Milano, non potei fare a meno di andare ad ascoltarlo. L’incontro, poi moderato – bene – da Fabio Volo, sarebbe iniziato alle 18.00. Neanche a dirlo, alle 16.30 ero lì, in prima fila dopo gli alti papaveri (okay, quindi in terza fila…) ad aspettare Winslow.

Maledizione, neanche le teenager con i The Kolors o gli One Direction (postilla: la musica è morta).

La foto che vedete in questa pagina – quella in cui ho una faccia che… ma lasciamo stare – l’ho fatta al volo, mentre la folla mi spingeva da dietro reclamando la tanto agognata dedica.

To Alessandro,

Don Winslow.

È stato bello incontrarlo.

 

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