Sogno di una notte di quasi estate…

Ci sono periodi pieni di cose e carichi di aspettative. Come la primavera che stiamo vivendo e che ci riempie di orgoglio per il lavoro svolto finora da e con i nostri autori.

Cosa ci porteranno i prossimi mesi? Possibili premiazioni (dita incrociate) e molti incontri. Qui vi segnaliamo i più importanti e speriamo che voi facciate il tifo per noi!

 

PREMI

  • Raffaella Romagnolo. La figlia sbagliata: semifinalista al Premio Strega (13 giugno assegnazione del premio “Strega giovani”; 15 giugno proclamazione della cinquina)
  • Francesco Leto, Il cielo resta quello: finalista al premio Zocca giovani
  • Emmi Itaranta, La memoria dell’acqua: finalista al Premio Salerno libro d’Europa
  • Dinaw Mengestu, Tutti i nostri nomi: finalista al Premio Gregor Von Rezzori di Firenze
  • Lavie Tidhar con Wolf è in finale al Premio Roma, sezione Narrativa straniera

MANIFESTAZIONI

  • Una Marina di libri Palermo, 12 giugno: Isidoro Meli presenta La Mafia mi rende nervoso
  • Isidoro Meli presenterà La Mafia mi rende nervoso durante il festival “Parolario” (Como), con Davide Van Der Sfross, il 23 giugno.
  • Le Conversazioni, scrittori a confronto festival internazionale di letteratura – Capri, 28 giugno – 7 luglio: ospite Marlon James, autore di Breve storie di sette omicidi (in uscita il 18 ottobre “Il libro delle donne della notte”)
  • Incontri con l’autore, Lignano, 26 luglio. Ospite Alessandro Bongiorni, autore di Niente è mai acqua passata

 

Non fidatevi di noi

Adesso che il libro è stampato, devo assolutamente ricordarmi di portarne una copia al mio amico gommista.

Perché tutto è iniziato dal gommista, un sabato mattina di circa un anno fa.

Andare dal gommista a fare il cambio inverno/estate (e viceversa) è una delle cose più noiose del mondo. Devi per forza stare lì, a guardare gli altri lavorare. Insopportabile. Per cui mi ero portato il mio scalcinatissimo ipad, ormai sul punto di esplodere a causa del numero di pdf che reclamavano (uso totalmente improprio del tempo al passato…) di essere letti.

E come spesso capita, almeno a me, anche in quell’occasione per scegliere cosa leggere non ho seguito un ordine cronologico, del tipo “prima leggo i libri che aspettano da più tempo”; sarebbe forse più corretto, fare così, invece quasi sempre si finisce per andare a istinto, un po’ “a minchia di cane”, come direbbe Isidoro Meli, appunto. E quella mattina decisi – senza un particolare motivo – di cominciare a leggere un dattiloscritto che avevo ricevuto il giorno prima.

 

Mezz’ora dopo, più o meno, il gommista, che fortunatamente conosco da molti anni, ha legittimamente sbroccato per il fatto che, mentre lui lavorava e faticava di sabato mattina, io stavo lì seduto in officina ridendo sguiatamente. E infatti è intervenuto: “mi spieghi che cazzo c’hai da ridere così?”.

Ricordo di essere stato in imbarazzo. Rispondere “sto leggendo un libro sulla mafia” non mi sembrava appropriato. Di solito, leggendo di mafia, non si ride. Si assume un’aria seriosa, compunta, partecipe. Per cui ho balbettato qualcosa di sconnesso, e mi sono rimesso a leggere, cercando, peraltro senza riuscirci, di trattenermi un po’ (e anche all’amico gommista ho fatto il test: per che cosa sta LTPDM? Non ha saputo rispondere).

Ma è proprio per questo, che siamo arrivati ad oggi, e ad essere felici ed entusiasti di aver pubblicato “La mafia mi rende nervoso”, opera prima di Isidoro Meli. Perché Meli è riuscito a scrivere un romanzo divertente e appassionante, e nello stesso tempo a parlare davvero di mafia. Non è semplice, credetemi. È noto che è molto più facile far piangere, che far ridere, tanto più quando si affrontano argomenti di questo tipo.

E non c’è solo questo aspetto, a rendere “La mafia mi rende nervoso” un libro davvero originale e interessante. Non è solo perché si ride.

C’è anche il fatto che i personaggi, i punti di vista, gli ambienti, le situazioni, il tono, i riferimenti culturali, insomma tutto in questo romanzo è tanto spiazzante quanto credibile e perfettamente risolto da un punto di vista narrativo. Non ci si può non appassionare alla vicenda; non ci si può non affezionare a Tommaso Traina, a questo ragazzo sfortunato e profondamente buono; non si può non provare tenerezza verso Betsie tossica, e non si riesce nemmeno a non provare un po’ di simpatia verso quell’inesorabile minchione che è Ciccio, il fratello di Tommaso. E non si può non fermarsi a riflettere sul fatto che Meli, descrivendo il mondo della mafia e dei mafiosi nella sua “umanità”, ne ha restituito un ritratto davvero efficace.

 

Sì, lo so che gli editori sono i meno indicati a parlare dei libri che pubblicano (ma me l’hanno chiesto quelli del marketing, mica potevo dire di no…); lo so che giustamente non vi fidate. E avete ragione. Non fidatevi di me, e nemmeno di tutti quelli che il romanzo l’hanno già letto e apprezzato, a partire da Maurizio De Giovanni. Non fidatevi di nessuno. Leggete “La mafia mi rende nervoso”, e poi fidatevi di voi.

 

Salone del Libro di Torino 2016

Ecco gli appuntamenti con i nostri autori al Salone del libro di Torino.

 

VENERDÌ 13 MAGGIO 2016

Ore 16 – Caffè Letterario

Frassinelli

Un’ora con… Raffaella Romagnolo

In occasione della pubblicazione di La figlia sbagliata

Interviene: Margherita Oggero

Il romanzo di Raffaella Romagnolo, candidato al Premio Strega 2016, entra dentro il cuore nero della famiglia italiana, analizzando il meccanismo di un amore squilibrato: quello di una donna che annulla se stessa e investe ogni energia creativa nei figli.

 

SABATO 14 MAGGIO 2016

Ore 19 – Caffè letterario

Frassinelli

Un’ora con… Mauro Garofalo

In occasione della pubblicazione di Alla fine di ogni cosa di Mauro Garofalo – Frassinelli

Interviene: Carlo Annese

Johann “Rukeli” Trollmann, campione di pugilato di origine sinti sotto il Nazismo: una vicenda umana e sportiva insieme tragica e bellissima.

Salone del libro di Torino 2016

INCONTRI SALONE DEL LIBRO TORINO 2016 Sperling & Kupfer e Frassinelli

VENERDÌ 13 MAGGIO 2016

Ore 16 – Caffè Letterario

Frassinelli

Un’ora con… Raffaella Romagnolo

In occasione della pubblicazione di La figlia sbagliata

Interviene: Margherita Oggero

Il romanzo di Raffaella Romagnolo, candidato al Premio Strega 2016, entra dentro il cuore nero della famiglia italiana, analizzando il meccanismo di un amore squilibrato: quello di una donna che annulla se stessa e investe ogni energia creativa nei figli.

SABATO 14 MAGGIO 2016

Ore 12 – Spazio Incontri

Sperling & Kupfer

La vicenda Eternit al cinema e in libreria, una storia d’amore e d’amianto

Incontro con Francesco Ghiaccio e Marco D’Amore

In occasione della pubblicazione del libro Un posto sicuro

“La storia d’amore di un padre e un figlio, il racconto della più grande tragedia del lavoro mai accaduta in Italia. Un racconto bello come pochi che narra il prezzo della fatica del lavoro, della fatica del bene, della fatica della ricerca della giustizia”. Roberto Saviano

Ore 17 – Spazio Incontri

Sperling & Kupfer

Ciclo Rabdomanti

Valentina Stella (Il resto è ossigeno) dialoga con la sua editor Grazia Rusticali

Ambientata a Torino, la storia di un abbandono, di una famiglia che esplode e di tutti quei sentimenti, a volte imprevedibili, che scaturiscono dal dolore.

Ore 19 – Caffè letterario

Frassinelli

Un’ora con… Mauro Garofalo

In occasione della pubblicazione di Alla fine di ogni cosa di Mauro Garofalo – Frassinelli

Interviene: Carlo Annese

Johann “Rukeli” Trollmann, campione di pugilato di origine sinti sotto il Nazismo: una vicenda umana e sportiva insieme tragica e bellissima.

DOMENICA 15 MAGGIO 2016

Ore 12 – Caffè Letterario

Sperling & Kupfer

Un’ora con… Cesare Bocci e Daniela Spada

In occasione della pubblicazione di Pesce d’aprile di Cesare Bocci e Daniela Spada

Interviene: Alessandra Comazzi

L’attore Cesare Bocci (il Mimì Augello de Il Commissario Montalbano) e la sua compagna Daniela Spada raccontano la loro storia e lo scherzo del destino che li ha resi più forti.

Ore 20 – Caffè Letterario

Sperling & Kupfer

Un’ora con… Giuseppe Giacobazzi e Carlo Negri

In occasione della pubblicazione di Un po’ di me

Giuseppe Giacobazzi si mette a nudo e racconta chi è davvero, con l’umorismo dissacrante di sempre e un pizzico di tenerezza in più.

ALLA FINE DI OGNI COSA: nascita di un romanzo

ALLA FINE DI OGNI COSA – nascita di un romanzo

di Mauro Garofalo

 

La prima volta che ho sentito il nome di Johann Rukeli Trollmann avevo appena finito di allenarmi al sacco. Con le mani ancora fasciate e i guantoni, appresi la vicenda del pugile a cui il Nazismo aveva tolto il titolo di campione perché “zingaro”. Per tutta risposta, la volta dopo Trollmann era salito sul ring con il corpo cosparso di farina, i capelli tinti di giallo, si era lasciato battere. Quell’uomo aveva messo in scena la sconfitta dello stesso fanatismo ariano che ora lo crocifiggeva; aveva avuto il coraggio di guardare dritto in faccia il grande male del Novecento. Mi resi conto che quella non era una storia qualsiasi, era una sfida. E dovevo seguirla.

Andai a vivere a Berlino. Molta della storia di Trollmann, che intimamente avevo iniziato a chiamare Rukeli, si era svolta lì. Proveniente dalla comunità sinti di Hannover, si era trasferito nella capitale della Germania alla fine degli anni Venti.

Era tra i ciottoli, le vetrine dei locali in legno, l’acqua che silenziosa scivolava nella semioscurità dei palazzi, che avrei dovuto cercare la sua ombra. I suoi ricordi. Ripercorrendo i passi. Grazie a un amico ebbi l’occasione di abitare in un appartamento nel Mitte, la casa era stata una delle tante requisite agli ebrei durante il Terzo Reich. Tutti i giorni aprivo gli occhi sopra uno dei molti cimiteri che in città hanno funzione di parco. Gli alberi, la pace, il sole dalle finestre. All’altro lato della strada, c’era persino una palestra di boxe, lo interpretai come segno del destino. Per due mesi cercai tracce del ragazzo, echi del pugile, voci dello zingaro. Di una cosa ero certo. Non volevo scrivere la Storia, ma cercare la leggenda.

Tramite il Kulturzentrum Deutscher Sinti und Roma avevo scritto, qualche settimana prima, all’associazione omonima che curava la memoria di Trollmann. Ora, mi rispondevano, erano pronti a incontrarmi a Hannover!

Salito sul treno il pensiero era corso a quanti convogli prima e durante il secondo conflitto mondiale avevano trasportato carichi di morte. Quanti uomini, donne e bambini in nome dell’orrore della superiorità della razza ariana avevano dovuto attraversare quelle terre con, negli occhi, il senso di un’assurda fine. Avevo continuato il viaggio cercando di distrarmi, ammirando il paesaggio: i marroni, l’arancione e il verde dei boschi, ancora non lo sapevo, ma avrebbero formato la tavolozza dei colori con cui avrei descritto l’ultima parte del romanzo.

Ero partito all’alba da Berlino, sarei dovuto arrivare presto a Hannover ma, a metà tragitto, il treno si era fermato. Un’alluvione aveva gonfiato i fiumi nel Magdeburgo; esondando, l’acqua aveva sommerso tutto. Era talmente alta da lambire le chiome degli alberi. Procedemmo a rallentatore per un tempo infinito su rotaie gonfie di fango. Alla fine arrivai con quattro ore di ritardo, non ero riuscito nemmeno ad avvertire. Non avevo un numero di cellulare per le emergenze, del resto chi avrebbe potuto immaginare… Arrivato in stazione, mi ero precipitato alla prima cabina telefonica. Pensavo a chi mi attendeva, a quello che avrebbero pensato: l’ennesimo insolente gagé che si sentiva in diritto di scrivere di un popolo e nemmeno si presentava all’appuntamento. Invece, al secondo squillo, qualcuno dell’associazione mi rispose e, in un improbabile inglese, mi confortò che qualcuno sarebbe tornato a prendermi. Dovevo solo aspettare lì. Così feci. Il mio contatto a Hannover arrivò con il suo SUV dopo nemmeno dieci minuti. Quello che accadde poi è memoria e appunti, rocambolescamente presi su diari che ancora conservo.

Alfonso e sua figlia Diana mi portarono a vedere la palestra dove Rukeli si allenava, il lungofiume dove sorgeva l’accampamento sinti, il punto dove si diceva Johann bambino pescasse direttamente dalla sua stanza nella casa-carrozzone, la chiesa dove si recavano a pregare i Trollmann tutte le domeniche; percorremmo poi le strade nuove del centro, la via oggi intitolata al pugile sinti, la Stazione di Polizia dove venne arrestato e percosso. Vollero offrirmi un gelato, un cappuccino e una torta all’albicocca tra le più buone che abbia mai assaggiato; ospite di quegli zingari di cui così tanto si parla sui giornali, non potei rifiutare, sarebbe stata presa come offesa. Seduti in un bar vicino l’ex palestra di Johann, Alfonso mi fece vedere alcuni libri che erano stati pubblicati in Germania, c’era persino un fumetto. Diana, che studiava all’Università, traduceva la voce roca del padre, le inflessioni di una lingua meticcia a base tedesca che non ero in grado di comprendere. Eppure, l’orgoglio e la felicità cui assistevo mentre Alfonso mi parlava di Johann, non ci fu bisogno di tradurli. Nei suoi occhi c’era la tracotante volontà di riscatto di chi è avvezzo a perdere nella storia, il desiderio di mostrarsi invincibile di chi subisce il compatimento, nella migliore delle ipotesi, la sicurezza esibita di coloro i quali, a vario titolo, nel tempo, sono stati bollati come diversi, confinati ai margini. Emarginati. Chiesi ad Alfonso se c’erano delle foto del ragazzo che era stato Johann, mi interessava l’associazione di lavoratori che gli aveva fatto da palestra. Mi rispose, non c’era traccia. Chiesi di Olga, allora, e della figlia di Johann, Rita che sapevo essere ancora in vita. Dalla risposta intuii che il passato li aveva resi stranieri. Decisi di non indagare in questioni personali, o di altro genere. Per ritegno e perché non stavo inseguendo lo zingaro per chiedergli la carta d’identità. Mi interessava il ragazzo, l’uomo che aleggiava a distanza di settant’anni tra le pieghe dei giorni. Tornai a Berlino con molti elementi in più. Al rientro in Italia, tutto era cambiato. Dopo un viaggio niente è più come prima. Eppure, dopo tutti quei giorni, c’era una cosa che mi angustiava. Rukeli non mi aveva ancora parlato…

A Milano avevo atteso che arrivasse la voce del mio personaggio. Invano erano passate le settimane. Poi, avevo capito. Non dovevo parlare dello zingaro, dovevo scrivere dell’uomo! Nella fretta di andare a Berlino, Hannover, e poi di nuovo tornare, per la smania di inseguire e la furia del cuore, avevo dimenticato il punto da cui ero partito. Il porto da cui mi ero imbarcato. Quella non era la storia di Rukeli o di Trollmann, ma di Johann. Non dovevo usare la retorica degli zingari, formulare giudizi così facili da tradursi in status. Dovevo usare le parole che conoscevo. Le scelte dell’uomo, la boxe. Seguendo gli incontri di quel Gibsy che aveva incantato folle e mandato in delirio il pubblico femminile per la sua sfrontata selvatica bellezza.

Iniziai a dare al romanzo la forma che ha poi assunto nel tempo. Avevo una storia ambientata durante l’ascesa del Nazismo, una vicenda personale che si legava indissolubilmente a quella di un popolo. La fine di una vita come conseguenza delle leggi razziali, il Porajmos – lo sterminio degli zingari – l’ennesimo insulto voluto da Hitler.

Molta grande letteratura aveva raccontato quella Storia, tutti conoscono (e riconoscono) oggi la follia e gli orrori del Nazismo. Nel mio romanzo volevo narrare frammenti, eventi quasi dimenticati che potessero accompagnare la danza sul ring del “mio” campione: l’incendio del Reichstag, l’orribile esecuzione dell’innocente van der Lubbe, le Olimpiadi del ’36 viste attraverso le immagini del film Olympia di Leni Riefenstahl, il crollo delle ultime vestigia di ciò che un tempo era stato il grande Impero prussiano, il cancelliere Hindenburg metafora della caduta dell’epoca degli zeppelin, l’estinzione della Belle Époque.

Sapevo che in Germania, dopo anni, la federazione aveva riconsegnato ai pronipoti di Trollmann il titolo di campione. Ne avevano parlato i giornali, la televisione. Avevo visto un documentario, un mediometraggio, un’intervista a Rita. Anche in Italia alcuni giornali avevano ripreso la vicenda del campione, sapevo di alcune pubblicazioni uscite nei circuiti antagonisti. Ma a Hannover avevo percepito la leggenda familiare intorno al ragazzo chiamato “albero” (questo significa in sinti, Rukeli). Avrei raccontato quella storia cucendo i lembi di una vicenda umana alimentata dalla ricca tradizione orale dei sinti. Potevo basarmi su alcune suggestioni evocate da foto d’epoca: gli ebrei costretti a esibire in strada i “cartelli della vergogna”, Johann panettiere, gli atroci esperimenti condotti dai nazisti; ma allora potevo raccontare anche la bellezza del Novecento, di quell’epoca d’eleganza estinta dall’Olocausto finemente narrata da scrittori come Stephen Zweig, Joseph Roth. Usando la narrativa potevo riunire eventi immaginati e fatti notori (Anna Funder aveva compiuto una scelta analoga narrando di Dora Fabian e Ernst Toller in Tutto ciò che sono) così erano venute in mente le idee per una parabola sui Trentasei, la finta divertita lettera “psicologica” di Mark Weil sull’Anschluss voluta da Hitler.

Ho scritto tenendo a mente tutti i nomi della generazione perduta. Pesando ogni sillaba, cercando la precisione più d’ogni altra cosa. Scoprendo infine che, per me, scrivere non è usare termini difficili quanto riuscire a legare le parole tra loro. Una sintassi personale misurata, pesata in ogni tasto. Una scrittura per indugio, che nel suo procedere porta significati nuovi, parole che ancora non so.

Alla fine di ogni cosa mi ha fatto scoprire il nucleo tematico del mio scrivere. Mi sono reso conto che tutti i miei personaggi raccontano di una caduta che a volte è vertigine, altre solo sogno che s’infrange. Nel caso di Johann, il vuoto era spazio da colmare con il proprio corpo. E non a caso, nel pugilato, “fare il vuoto” si traduce con shadow boxing ovvero tirare pugni all’aria, perfezionando ogni gesto tentando di colpire la propria ombra. Poiché è la lotta con noi stessi che ci porta a essere ciò che siamo. Noi. Le nostre scelte.

I venerdì da Enrico’s

Don Carpenter si è suicidato nel luglio del 1995. Aveva passato la vita a scrivere, romanzi e sceneggiature per Hollywood, senza grande successo. Successo che, come spesso accade per i grandi romanzieri, è arrivato postumo, rendendo Carpenter un “classico moderno”. E anche per questo motivo a vent’anni dalla morte, Jonathan Lethem ha ripreso il suo ultimo, grande romanzo lasciato incompiuto, I Venerdì da Enrico’s, lo ha editato e lo ha completato. Dopo il trionfo dell’uscita americana, I Venerdì da Enrico’s esce per Frassinelli martedì 23 giugno.

Così scrive Lethem nella postfazione: “Carpenter era palesemente un romanziere puro, tanto che qui ogni istanza ritrattistica o autoritrattistica (e di sicuro sono presenti entrambe) è distribuita tra i vari personaggi e infine incorporata in quella forma diversa di veridicità che il romanzo richiede in quanto tale…. Nell’ampio raggio di umana esperienza rivelato da questo libro c’è il massimo di autobiografismo che mai chiederemmo a Don Carpenter, il quale ha detto: ‘Se fossi capace di esprimere la mia visione dell’universo senza scrivere narrativa, lo farei’. Per fortuna, non lo era.

Letture d’autore #4: Raffaella Romagnolo LA FIGLIA SBAGLIATA

Non faccio mai presentazioni senza leggere qualche pagina. Sono convinta che le uniche parole che contano stanno dentro il libro, non intorno.

Per questo ho scelto quattro passi del romanzo La figlia sbagliata e li ho registrati: le prime righe, Vittorio bambino nei ricordi della madre Ines, la ribellione di Vittorio e quella di Riccarda. Quattro assaggi, giusto per capire come suona.

Buon ascolto.

Raffaella Romagnolo

La figlia sbagliata – letture d’autore 4

Letture d’autore #3: Raffaella Romagnolo legge LA FIGLIA SBAGLIATA

Non faccio mai presentazioni senza leggere qualche pagina. Sono convinta che le uniche parole che contano stanno dentro il libro, non intorno.

Per questo ho scelto quattro passi del romanzo La figlia sbagliata e li ho registrati: le prime righe, Vittorio bambino nei ricordi della madre Ines, la ribellione di Vittorio e quella di Riccarda. Quattro assaggi, giusto per capire come suona.

Buon ascolto.

Raffaella Romagnolo

La figlia sbagliata – letture d’autore 3

Letture d’autore #1: Raffaella Romagnolo legge LA FIGLIA SBAGLIATA

Non faccio mai presentazioni senza leggere qualche pagina. Sono convinta che le uniche parole che contano stanno dentro il libro, non intorno.

Per questo ho scelto quattro passi del romanzo La figlia sbagliata e li ho registrati: le prime righe, Vittorio bambino nei ricordi della madre Ines, la ribellione di Vittorio e quella di Riccarda. Quattro assaggi, giusto per capire come suona.

Buon ascolto.

Raffaella Romagnolo

La figlia sbagliata – letture d’autore #1

Aspettando… “Lo stato di ebbrezza” di Valerio Varesi

Cari amici, dal deliquio etilico in cui versa il nostro mondo, è nato Lo stato di ebbrezza, la puntata conclusiva della trilogia che è cominciata col nostro “secondo rinascimento”, la Resistenza, raccontata ne La sentenza, ed è proseguita con Il rivoluzionario, i primi 35 anni del nostro dopoguerra che hanno sancito la morte delle ideologie e l’inizio della dittatura finanziaria. Con questa puntata conclusiva setaccio gli anni dalla strage di Bologna alla esilarante e tragica “mozione Paniz”, il culmine del delirio politico-parlamentare che segna il definitivo seppellimento di ogni “questione morale” e della moralità stessa di un Paese.

Col voto che accredita Ruby rubacuori quale nipote di Mubarak, ovvero il falso consapevole scientemente affermato come vero, il nostro mondo abbandona il terreno della semplice farsa sconfinando nel surreale di marca grottesca. Ed è proprio il grottesco la cifra estetica che uso. Con essa scavo dentro il nostro abisso con esiti persino esilaranti.

Valerio Varesi

Lo stato di ebbrezza vi aspetta dal 25 agosto in libreria e in ebook.

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