Chi perde paga – il nuovo thriller di Stephen King

“Svegliati, genio!”

Un genio della letteratura che però ha smesso di scrivere.

Un lettore molto arrabbiato che ha deciso di punirlo. Un manoscritto rubato e una vendetta da gustare fredda. Poche tracce per il detective Hodges, l’eroe di Mr. Mercedes. Abbastanza per scatenare una nuova caccia all’uomo.

In autunno arriverà in Italia il nuovo thriller di Stephen King: CHI PERDE PAGA (Finders Keepers) dal 22 settembre in libreria. 

Child 44 – Il bambino numero 44 IL FILM

Come scovare un killer in una società che ne rifiuta l’esistenza?

Questo è l’interrogativo che percorre le vicende raccontate in Child 44 – Il bambino numero 44, il thriller a sfondo politico di Daniel Espinosa, tratto dal romanzo bestseller di Tom Rob Smith.

L’assassino di cui si parla nel film, e nel romanzo, è Andrej Čikatilo, il serial killer russo che a partire dalla metà degli anni ’70 uccise più di 53 persone, in particolare bambini, gettando l’intera nazione nell’angoscia.

Nel romanzo, però, Tom Rob Smith decide di retrodatare le vicende del serial killer di Rostov al secondo dopoguerra, restituendo un affresco delle contraddizioni della società stalinista. Il risultato è un bestseller che ha ottenuto forti consensi anche dalla critica, destando da subito l’interesse di Ridley Scott, che ha deciso di produrre il film dal 30 aprile nelle nostre sale.

Il protagonista è l’agente della polizia sovietica Leo Demidov, interpretato da Tom Hardy, che perde la sua posizione di prestigio quando rifiuta di denunciare sua moglie Raisa, Noomi Rapace, accusata di tradimento contro lo Stato. I due sono quindi costretti a lasciare Mosca e a trasferirsi nella cittadina di Volsk, tetro avamposto militare. Qui Leo incontra il generale Nesterov, interpretato magistralmente da Gary Oldman, e con lui inizia a indagare sulle morti sospette di alcuni bambini, fino a quel momento catalogate dalla polizia di stato come decessi accidentali.

La ricerca del killer, quindi, diventa in Child 44 il pretesto per raccontare l’atmosfera di angoscia e sospetto generata dagli organi del regime, primo tra tutti l’MGB, la polizia segreta in cui lavorano Leo e il suo rivale, Vasili (Joel Kinnaman). Una società, quella stalinista, in cui ognuno poteva essere accusato di tradimento contro il regime e in cui il crimine comune veniva negato, perché contrastava l’immagine di perfezione e moralità che il regime voleva dare delle società comuniste. Il film, proprio per il modo in cui racconta il periodo stalinista, è stato ritirato dalle sale in Russia per volontà del ministro della cultura, perché la sua proiezione è stata considerata «inammissibile alla vigilia del 70° anniversario della vittoria sovietica sul Nazismo».

Ma la ricerca del serial killer permette al regista di approfondire anche la relazione tra i due protagonisti, Leo e Raisa, costretti a lasciare la vita agiata nella capitale e a rinunciare ai privilegi della posizione di Leo. La nuova condizione, la paura del regime e il sospetto faranno sì che i due, inizialmente molto distanti, si avvicinino scoprendosi davvero una coppia.

In Child 44 Daniel Espinosa, già noto al pubblico per Safe House – Nessuno è al sicuro e Snabba Cash, si dimostra un regista capace di spaziare tra diversi generi cinematografici e di realizzare un film narrativamente complesso, dosando in modo sapiente gli elementi thriller e action, gli aspetti sentimentali e la ricostruzione storico-politica.

A rendere il film ancora più apprezzabile concorre il cast, uno dei punti forza della pellicola, grazie alle interpretazioni di attori come Gary Oldman, Tom Hardy, Noomi Rapace, fino ai cattivi e intensi Joel Kinnaman, Vincent Cassel e Paddy Considine.

A spiccare in particolare è Gary Oldman, che si conferma un ottimo interprete capace di calarsi perfettamente nel ruolo di un generale rassegnato all’esilio eppure disposto ancora a credere in un possibile riscatto. Ma anche Tom Hardy e Noomi Rapace, che con la loro interpretazione restituiscono in modo sempre realistico sentimenti e disposizioni d’animo molto diversi, dal coraggio alla rabbia, dalla paura fino, in alcuni casi, alla meschinità e all’opportunismo.

Come un ricordo che uccide. O una bugia.

“È incredibile quanti segreti ci possano essere in una coppia. Quest’idea democratica che bisogna dirsi tutto… Si vive nella stessa casa, si divide lo stesso letto, ma fino a che punto si può dire di conoscere veramente l’altro?”

Questa frase Lizzie, la bibliotecaria protagonista del romanzo Come un ricordo che uccide, la sente solo alla fine della vicenda narrata e a pronunciarla è Victoria, donna che alle bugie – accumulate strada ed error facendo – sta soccombendo. Probabilmente la stessa frase, se qualcuno l’avesse riferita alla povera Lizzie un anno prima, non avrebbe avuto lo stesso effetto, non avrebbe squarciato alcun velo, non avrebbe scalfito la fiducia nel prossimo e la bontà che la donna ha sempre dimostrato.

Eppure.

Eppure Lizzie a un anno dalla morte di suo marito Zach viene travolta da una slavina di frottole, menzogne, finzioni e cade in un vortice di paranoia che la porta a dubitare di tutto. Contemporaneamente alla sua storia leggiamo il diario di Zach marito attentissimo, esageratamente innamorato, principe azzurro soffocante: pagine sull’altrui colpevolezza, sull’autoassoluzione, sulla verità riguardo al passato.

Zach è un uomo malato, le sue menzogne sono patologiche. Ma quando le bugie servono a preservarsi dalle critiche, a dissimulare, a nascondersi, a raggiungere un obiettivo; quando le bugie portano dolore e sofferenza, con che atteggiamento le giudichiamo? Salvare noi stessi determina necessariamente la distruzione dell’altro? Abbiamo davvero la sola certezza che la verità è figlia del tempo?

Come un ricordo che uccide vi stupirà, sicuramente.

Consigli di lettura: di notte, ma in compagnia.

Accompagnando ogni pagina con sorsi di camomilla e biscotti al tè verde.

Mr. Mercedes: il Re è tornato

L’unica verità è il buio, ed è in quella tenebra profonda che la penna di Stephen King fa piombare chi legge Mr. Mercedes. È in quel buio che Brady Hartsfield ruba una Mercedes SL 500 da dodici cilindri e falcia un gruppo di persone accampate fuori dal City Center, in coda, da ore, in cerca di lavoro, dando inizio a una lunga sequela di eventi e corrispondenze fra lui e Bill Hodges, il detective che deve risolvere il caso.

Una dopo l’altra, pagina dopo pagina, in una corsa contro il tempo dove bene e male sono facce della stessa medaglia, o della stessa maschera da pagliaccio, Mr. Mercedes è esattamente questo: un romanzo incalzante, un viaggio nel torbido della mente umana, una storia di drammi che non pretende di dare risposte, ma solo atterrire, forte di uno stile incisivo che non si perde in digressione e va dritto al sodo, a quel “cupo scrigno di prodigi” che può diventare una persona cresciuta in balia degli eventi.

Un thriller da divorare come un cono al cioccolato in una tiepida mattina di inizio giugno, perché tutti amano l’omino dei gelati, e allo stesso modo amerete anche l’ultima fatica di Stephen King.

(Stefano Romagna)

Esserci o non esserci? Il crime al tempo del web: “Reality Crime”

Reality Crime di Lafani & Renault

Esserci o non esserci?

La risposta è scontata nell’epoca dei social: se non hai un profilo di qualche tipo non sei nessuno (e devi pure giustificarti). “Connesso” o “Non connesso”: ecco lo stato che ci identifica oggi.

Ormai è un dato di fatto che Facebook funzioni da vetrina per quel lato vero o presunto di noi che vogliamo mettere in mostra, o che Twitter sia una piattaforma di discussione istantanea della realtà.

La novità di Reality Crime, il thriller a puntate di Florian Lafani e Gautier Renault, è che apre un’altra frontiera: il web come scena del crimine – una scena manipolabile e interattiva. Diventa infatti palcoscenico di un rapimento che si fa evento mediatico: sei ostaggi vengono filmati, “postati”, sacrificati in streaming, in una sorta di reality 2.0.

Chi è il pazzo o il genio del male capace di tutto questo? Quali sono le sue vere intenzioni?

Ma l’interrogativo più inquietante, alla fine, non è nessuno di questi. La domanda che spaventa è quella che ci riguarda più da vicino: se ci venisse chiesto di votare chi può continuare a vivere, condannando automaticamente chi perde a morire, cosa faremmo?

Qui non si tratta di scegliere chi può continuare a cantare, chi può continuare a cucinare, chi può continuare a sbadigliare sul divano. Si tratta di decidere della vita o della morte di un essere umano. Di diventare arbitri della giustizia o di rendersi complici di un omicidio: non c’è un confine, i due opposti coincidono, uniti da un gesto semplice come un clic.

Esserci o non esserci? Forse la risposta non è poi così scontata.

Incontrare Tom Rob Smith a Milano

Resoconto di una presentazione.

Prendete uno di quei libri che proprio avete amato (stiamo parlando di Bambino 44), mettete l’attesa mista all’ansia per la trasposizione cinematografica (per quanto il cast sia buono e Gary Oldman una garanzia), aggiungete la lettura di un thriller totalmente diverso e la voglia di capire il perché di questa trasformazione letteraria: ecco lo stato d’animo con cui abbiamo seguito la presentazione de La Casa di Tom Rob Smith ieri a Milano.

Era presente, ovviamente, l’autore, questo giovane e bravissimo Tom Rob Smith (pieno di una sensibilità che trasuda dai suoi romanzi ma che ti stupisce sempre quando la senti di persona) intervistato da Luca Crovi, che ha posto domande tanto puntuali e intelligenti che alla fine gli interventi del pubblico sono stati minimi.

Partiamo dall’inizio: The Farm, che è la casa sperduta, isolata, viene tradotto con La Casa anche perché “la casa” si porta dietro un ricordo collettivo legato a un notissimo film dell’orrore.

Tutto nasce da una storia realmente capitata all’autore, contattato dal padre per metterlo in guardia sulla presunta pazzia della moglie, e la telefonata di lei, che gli chiede un incontro per raccontargli la verità sul marito. A chi credere?

Da un episodio vero si srotola un susseguirsi di avvenimenti, raccontati da due punti di vista: quello del protagonista e quello di sua madre. Non ci sono morti, né azioni o inseguimenti. Tutto ruota intorno alla verità, ai segreti (si può accusare i propri genitori di aver nascosto qualcosa quando non si è mai detto loro della propria omosessualità?), intorno a delle voci narranti che indagano dentro se stesse.

Una prova di maturità da parte di Tom Rob Smith, che sollecitato a proposito di un prequel della trilogia che lo ha reso famoso ha risposto: never never never.

E giustamente, diciamo. Un passo avanti, o a lato. Sicuramente un’andatura diversa che trasforma la paura in ansia, l’attesa in angoscia, i personaggi in fantasmi.

Per chi: ama le letture intense e i grandi spazi

Da leggere: durante un weekend di solitudine

Bevendo: un tè inglese

Mangiando: biscotti svedesi (par condicio per le origini dell’autore)

I delitti delle sette virtù

“Scrivere I delitti delle sette virtù, nato quasi per gioco, è diventato presto una necessità. Incontrollabile. Il mio protagonista, un giovane straniero in una città devastata da brutali omicidi, è cresciuto pagina dopo pagina.

Mi sono stupito anch’io di quanto alla fine sia cambiato: ma Rafael, come me, cercava la sua strada.
Il difficile, nonostante la mia passione per la storia, è stato calibrare i sentimenti che compongono la trama senza incappare in errori; sono stato ripagato scoprendo molti aspetti inediti del Medioevo che troverete nel romanzo: dai maiali spazzini ai cibi – fiumi di birra, vino e sidro! Spero davvero che questa Firenze di sangue, cupa e violenta vi entri nelle vene.”

Matteo di Giulio

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