L’INVERNO STA FINENDO…

Manca poco più di un mese alla fine dell’inverno, tra olimpiadi e campagna elettorale. Ma se al curling e ai talk-show preferite i romanzi, Frassinelli ha qualcosa da proporvi.

 

«In quelle acque profonde Luc non cerca forse una donna, una madre dentro il mare?»

Il 20 febbraio esce “Il principe della città sommersa” del romanziere canadese Denis Thériault, che racconta la struggente amicizia tra due ragazzi senza niente in comune a parte la loro solitudine.

#DenisThériault #IlPrincipeDellaCittàSommersa

«Perciò ho voluto raccontartela la mia storia, perché finisse scritta in mezzo a queste storie di donne.» Donne che si raccontano, e raccontano la violenza subita dagli uomini, nel nuovo romanzo di Tea Ranno, “Sentimi”, che uscirà il 27 marzo. Perché la memoria è l’unica forma di riscatto.

#TeaRanno #Sentimi

 

«Questo è un romanzo in cui si narra di fatti realmente accaduti, di altri che non sono accaduti e di altri ancora che sarebbero potuti accadere.» Nello scenario drammatico e oscuro dei giorni del rapimento di Aldo Moro si muovono i personaggi del nuovo romanzo di Alessandro Bongiorni, che uscirà il 6 marzo. “Strani eroi” i cui destini finiranno per intrecciarsi nel grande, tragico imbroglio che è l’Italia degli anni Settanta, dove niente è mai quello che sembra.

#AlessandroBongiorni #StraniEroi

 

«La notte del primo marzo 1860 quattro uomini salparono da Palermo alla volta di Caprera per rapire la donna di Giuseppe Garibaldi. Nessuno di loro aveva progettato il viaggio, né scelto liberamente di prendervi parte.» Questi quattro uomini si chiamano Attìa, Panc, Salvatore Paradiso e Andrea Foti detto “u’ Muz­ziaturi”, e sono gli indimenticabili protagonisti del nuovo romanzo di Isidoro Meli, “Attìa e la guerra dei gobbi”, che uscirà il 13 marzo.

#IsidoroMeli #Attìa #LaGuerraDeiGobbi

 

FRANCESCO LETO su “La straordinaria famiglia Telemachus”

#LeNoteSulleTraduzioni
FRANCESCO LETO su “La straordinaria famiglia Telemachus” di Daryl Gregory.

Quando mi arrivò la proposta di tradurre ‘La Straordinaria Famiglia Telemachus’, ero alle prese con l’ennesimo trasloco, a destra gli scatoloni da tenere, a sinistra quelli pieni di roba di cui sbarazzarsi. Ho sempre pensato che se il passato è veramente passato anche le cose che ce lo ricordano debbano sparire. Sono stanco, stremato e ho bisogno di soldi. Inizio a leggere il romanzo dal mio Iphone, capisco subito di poter passare all’Ipad, abbandono gli scatoloni e per 3 o 4 gg sono completamente immerso nella storia di questa famiglia tanto magica quanto scalcagnata. Il patriarca , Teddy, ormai settantenne che, perse le sue abilità al gioco di carte, si improvvisa nei suoi numeri di magia per far colpo su una donna con quasi la metà dei suoi anni in un supermercato bio; i suoi figli, Frankie, venditore ambulante di un miracoloso succo di bacche di Goji, una volta capace di spostare gli oggetti col pensiero; Irene, una macchina della verità vivente, che in quell’estate del 1995 dopo aver perso l’ennesimo lavoro, ritorna a vivere a casa del padre con suo figlio Matty, anche lui a dir poco eccentrico, e infine Buddy, muto dalla morte della madre, che scava un’enorme buca in giardino e che, volutamente ottuso e incredibilmente cocciuto, in silenzio viaggia tra passato, presente e futuro, capace com’è di vedere ciò che gli altri ancora non vedono.

Ma su tutti, la presenza impalpabile e costante di Maureen, la matriarca e la vera star della famiglia, colei che coi suoi poteri da sensitiva aveva reso straordinaria la normale quotidianità di una famiglia americana e che, tra leggenda e memoria, riesce a farsi per ognuno dei suoi membri ricordo così vivido da assumere i contorni di una guida concreta. Ed è forse questa la sua magia più riuscita, quella di tenere insieme, anche da morta, i pezzi di una famiglia altrimenti alla deriva.
Ed ecco allora che quella che in prima battuta può sembrare una storia troppo distante da quella di una normale famiglia senza il dono della telecinesi, si fa via via il racconto di una famiglia qualsiasi. Quanto sia difficile tenerle insieme queste famiglie, è cosa nota a tutti, così come sia altrettanto complicato elaborare la mancanza, riempire le proprie buche.
E Gregory lo fa fabbricandosi il suo personale trampolino. Riesce, con uno stile inconfondibile, a far ridere e subito dopo a emozionare: prende la ricorsa con l’aiuto della sua spietata ironia per poi inabissarsi in profondità dolorose. E allora non è un caso che ci si ritrovi a ridere di fronte ai Telemachus che festeggiano il compleanno della defunta Maureen e che si accapigliano per chi debba spegnere le candeline. Per poi al rigo successivo leggere: ‘Maureen Telemachus era morta ventun’anni prima, all’età di trentun’anni, la stessa età che aveva Irene in quel momento. Questo è l’ultimo anno che avrò una madre, pensò, da oggi in poi lei sarà più giovane di me.
È così, a ognuno di noi tocca scegliere cosa conservare del passato e cosa buttar via, gli scatoloni buoni a destra e quelli ormai inutili e troppo pesanti a sinistra.
Mettere in ordine i ricordi perché non diventino fantasmi. Vivere, per quanto possibile, sapendo quando voltarsi indietro senza mai perdere il coraggio di guardare avanti, esattamente come ci insegneranno il piccolo Buddy e tutta la sua famiglia.
FRANCESCO LETO

‪Grazie davvero a Francesco Leto, autore de  Il cielo resta quello, per la splendida traduzione de #LaStraordinariaFamigliaTelemachus di #DarylGregory e per questa bellissima nota.

Settembre, andiamo…

Perdonateci la citazione, e soprattutto perdonateci il fatto che siamo già stufi dell’estate, e non vediamo l’ora che passi. Sono davvero troppi i libri di cui aspettiamo con trepidazione l’uscita, per non aver voglia che arrivi settembre.

 

Proprio all’inizio del mese, infatti, uscirà “La sceneggiatura” (titolo originale “Turnaround”), di Don Carpenter. Siamo davvero orgogliosi di continuare la pubblicazione italiana dei romanzi di quello che negli Stati Uniti è ormai considerato un autore di culto, dopo essere stato riscoperto da Jonathan Lethem.

“La sceneggiatura” fa parte della racconta “Hollywood Trilogy”, e anche questo romanzo, come “I venerdì da Enrico’s”, è stato tradotto per noi da Stefano Bortolussi, e per presentarvelo ci affidiamo alle sue parole: « “La sceneggiatura” assume le dimensioni del Mito, della Proiezione (a vari livelli): e se a questo si aggiunge che la vicenda narrata ruota intorno a un adattamento/remake de “La signora nel lago” di Chandler… In poche parole: che cosa si può chiedere di più a un lavoro? E per voi fortunati che incontrate questo libro per la prima volta: che cosa si può chiedere di più a una lettura?». (In libreria dal 5 settembre)

 

E a proposito di autori, e romanzi, “di culto”, il 19 settembre sarà finalmente il giorno dell’uscita dell’attesissimo “Le venti giornate di Torino” di Giorgio De Maria, per il quale ci affidiamo alle parole di Giovanni Arduino, che ne ha curato la postfazione e che pubblicherà – pochi giorni prima dell’uscita del libro – anche un ebook dedicato al romanzo: «Le venti giornate di Torino è l’unico, autentico romanzo maledetto italiano. Non è una boutade a casaccio, ma a stabilirlo sono trama, atmosfera, vita dell’autore, legami, connessioni, effetti sui lettori.». Come è ormai noto, “Le venti giornate di Torino” è stato pubblicato per la prima volta in Italia nel 1977, per venire riscoperto quarant’anni dopo, non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti. E mai riscoperta fu più meritata, visto che all’incontestabile valore letterario del romanzo di De Maria si aggiunge una componente profetica davvero inspiegabile. Come ha scritto “La Stampa” qualche mese fa: “ci voleva una città magica, e i portentosi, terribili eventi di quelle venti giornate, per immaginare l’arrivo di Mark Zuckerberg e di Facebook con quarant’anni di anticipo”.

 

 

2017: ecco il libri che verranno

Il 2017 di Frassinelli inizia subito, e inizia con un romanzo attesissimo: il 10 gennaio infatti pubblicheremo “IL NIDO“, di CYNTHIA D’APRIX SWEENEY la storia dolceamara dei fratelli Plumb: la famiglia follemente egocentrica che ha fatto innamorare New York. A lungo in testa a tutte le classifiche USA, e venduto in quasi tutto il mondo, “Il Nido” è stato premiato come il miglior romanzo d’esordio del 2016. Trascinante, commovente, divertente e dissacrante, IL NIDO è un concentrato di personaggi unici, un ironico bilancio generazionale e, in conclusione, una nuova conferma della massima di Tolstoj: «tutte le famiglie felici si assomigliano. Ma ogni famiglia infelice, è infelice a modo suo».

Sempre a gennaio, il 24, sarà la volta de “I CALABRONIi. ROMANZO DI UNA MULTINAZIONALE”, di MARCO WEISS. Una grande epica contemporanea, costellata di personaggi memorabili (segnatevi questo nome: Ivan Puntatore, detto “Il Punta”: un personaggio che, nonostante tutti i suoi sforzi, non riuscirete a detestare come meriterebbe); “I Calabroni” è un romanzo scritto con stile graffiante e originale, che appassiona, diverte, e – particolare non secondario – ci aiuta a capire chi, come e quando ha posto le basi del mutamento economico che ha cambiato per sempre il nostro modo di vivere.

Febbraio inizia con un attesissimo ritorno: il 7 febbraio pubblicheremo “IL COMMISSARIO SONERI E LA LEGGE DEL CORANO” di VALERIO VARESI: un noir come sempre serrato e coinvolgente, che vedrà il commissario Soneri addentrarsi in una Parma che non riesce più a riconoscere, quella delle periferie, dove le tensioni sociali legate all’immigrazione si fanno sempre più esasperate. Ancora una volta Valerio Varesi utilizza sapientemente il genere poliziesco per illuminare i luoghi più scuri e inquietanti della nostra società, e per svelarne le contraddizioni.

Sempre febbraio sarà il mese del primo esordiente italiano dell’anno, CHRISTIAN PASTORE, che si autodefinisce “difficilmente classificabile”, affermazione che possiamo confermare in pieno. E difficilmente classificabile è anche il suo romanzo, “SENZA AMARE ANDARE SUL MARE” (suggeriamo ai più curiosi di indagare sul titolo…). Quaranta persone si trovano, senza sapere perché, a bordo di una misteriosa nave da crociera, la Tituba, che viaggia apparentemente senza meta in un mare sconfinato sempre uguale a se stesso. Sconnessi dal resto del mondo, i protagonisti hanno come unico dovere quello di tenere un diario. E dai diari emergeranno una moltitudine di storie, e di legami, che danno vita a una straordinaria commedia umana (o tragedia, in certi casi).

Marzo sarà invece il mese di due grandi firme internazionali.

YANN MARTEL, autore di quel “classico moderno” che è “Vita di Pi”, torna ad occuparsi del rapporto filosofico, sentimentale e psicologico tra uomo e animale con “LO SGUARDO DI ODO” (7 marzo). Un grande romanzo, realistico e allegorico al tempo stesso, e un romanzo che ci dice molto di noi, perché, come afferma lo stesso Martel, “quando guardiamo gli animali non stiamo guardando solo degli esseri viventi, ma guardiamo nel cuore dei mistero dell’esistenza”.

Poetessa, rapper, adesso romanziera. KATE TEMPEST (31 anni), “è un’osservatrice imperdibile dei disastri psicologici ed emotivi del nostro frenetico tempo che strappa il cuore e i desideri ai più giovani e li spinge a correre, correre, correre”. Queste sono parole di SIMONA VINCI, che ringrazieremo sempre per aver tradotto per noi “The Bricks That Built The Houses”, il romanzo d’esordio di questa eccezionale artista: la storia appassionante e toccante di tre ragazzi del Sud-Est di Londra (o forse è proprio la storia del Sud-Est di Londra, dove peraltro Kate Tempest è nata e vive), che pubblicheremo il 21 marzo, per iniziare la primavera nel modo migliore.

E la primavera di Frassinelli proseguirà all’insegna degli autori italiani:

“Fatevi un regalo. Leggete questo romanzo. Vaccari è uno scrittore coraggioso”. Non ve lo diciamo noi, lo dice ANTONIO MANZINI, e il romanzo di cui parla è “IL TUO NEMICO”, di MICHELE VACCARI (uscita 4 aprile). La storia di Gregorio, un ragazzo piegato dalla crisi, un neet, che sceglie la strada dell’isolamento come estremo gesto di ribellione. Quello che però non sa, è che questa scelta si rivelerà assolutamente organica e funzionale al sistema che crede di combattere. Un romanzo attualissimo, che ci racconta una generazione che stiamo perdendo, scritto con uno stile originale e acuminato ai limiti della crudeltà. Il romanzo è piaciuto molto anche a IGORT, che ha realizzato l’illustrazione della copertina.

MORIRE IL 25 APRILE” è invece il romanzo d’esordio di FEDERICO BERTONI, già autore di un brillante saggio sul mondo dell’università: un romanzo che – ripercorrendo le azioni, e le contraddizioni, di Giuliano Romanini, comandante partigiano durante la Resistenza – racconta non solo la guerra partigiana (e la racconta senza retorica, senza sconti, senza infingimenti), ma anche l’Italia del dopoguerra, alla luce delle illusioni e delle speranze di quei mesi esaltanti e tragici. Uscirà il 18 aprile.

“La strada degli americani è un romanzo forte, dal ritmo incalzante. I personaggi sono disegnati talmente bene che vi sembrerà di sentirli parlare. Un esordio straordinario. Vi lascerà senza fiato.” (MAURIZIO DE GIOVANNI)
“Un romanzo implacabile e intenso. Personaggi forti, che senti nella carne e nelle ossa. Così vivi che ti viene voglia di interpretarli.” (MARCO D’AMORE)
Come presentazione de “LA STRADA DEGLI AMERICANI” (2 maggio), il romanzo d’esordio del giovane regista napoletano Giuseppe Miale Di Mauro, le parole di Maurizio De Giovanni e Marco D’Amore ci sembrano sufficienti. La Napoli di Gomorra, della criminalità, dei quartieri desolati, ma anche una Napoli dove il riscatto è ancora possibile.

GAIA SERVADIO è un’esploratrice che si nutre di interessi sconfinati” (La Repubblica). Non possiamo che essere d’accordo, e siamo felici che gli interessi di questa grande intellettuale e scrittrice italiana, da anni residente a Londra, abbiano deciso di toccare la storia di “DIDONE REGINA“, titolo del romanzo che pubblicheremo il 16 maggio. Gaia Servadio sa raccontare come nessun altro le donne: e ha deciso di raccontare la donna che, prima nella storia, dovette affrontare il rapporto con il potere. Il potere non è per tutti, è un peso che si deve saper sostenere: la vita di Didone, destinata a essere fondatrice di Cartagine, è un percorso che si articola tra rinunce, tradimenti, sacrifici e amori impossibili.

“Un libro che arde di magia e perdita, di esilio e ritorno, bellezza e angoscia:’TADUNO’S SONG‘ è un’epica colossale, cammuffata sotto le forme di un romanzo breve.” Sono parole di MARLON JAMES, uno che di solito non è particolarmente prodigo di complimenti. Ma il romanzo del nigeriano ODAFE ATOGUN i complimenti li merita davvero. Pubblicato in UK da Canongate nel 2016 (in Italia uscirà il 30 maggio) racconta la favola di musica e ribellione di Taduno, che combatte con le sue canzoni la dittatura che sta uccidendo il suo paese. E chi sentisse, in questa trama, un’eco della vicenda di Fela Kuti, sentirebbe bene…

Questa la prima parte del 2017 di Frassinelli. Noi siamo molto soddisfatti, e speriamo anche voi. Per il resto dell’anno, pazientate un po’.

Simone Perotti legger RAIS #2

“Cosa pensava Cristoforo Colombo di Dio e cosa Dio di lui.”

Un nuovo brano tratto da RAIS e letto dal suo autore Simone Perotto.

 

RAIS: la parola all’autore Simone Perotti

Ho scritto questo romanzo disattendendo quasi tutte le regole dell’editoria di questa epoca, e del buon senso.

E’ lungo; ha quattro voci diverse che raccontano i fatti da altrettante diverse angolazioni; è una storia “in costume”, ambientata nel ‘500; è pieno di personaggi; uso registri stilistici diversi; una delle voci è un flusso senza punti, in cui il lettore deve trovare la sua “musica”; il titolo è enigmatico, non spiega nulla di noto; è un romanzo letterario, di quelli che invece di andare verso ciò che il lettore sa già lo chiamano verso lo spazio ignoto che lui ignora; scrivo tutto, senza veli, sbatto in faccia al lettore i suoi vizi, le sue paure, le sue meschinità, le sue ipocrisie.

Nella narrativa contemporanea si sta molto attenti a non farli, questi errori. Un libro lungo costa di carta e stampa, dunque ha un prezzo più alto, e poi i lettori si spaventano per la mole. I tanti personaggi disorientano, le storie in costume vengono avvertite come troppo lontane. Per farne un film servirebbero troppi soldi, nessuna produzione sosterrebbe uno sforzo simile.

Non so se lo avete notato, ma la narrativa di oggi, per larga parte, fa di tutto per ingraziarsi il lettore. Gli va incontro sorridendo, lo segue nei suoi ambienti conosciuti, gli parla con la sua lingua, lo fa riconoscere nelle sue più ovvie aspirazioni, lo blandisce con i luoghi più comuni, usa marche e oggetti a lui familiari, come per farlo sentire a casa, lo aiuta con frasi corte, come fosse un minorato mentale, capitoli brevi, poche pagine in totale, storie esilissime, molti dialoghi. Trovo questa pratica, quando fatta ad arte, la fine di ogni opera intellettuale e di scrittura letteraria.

Per questo, terminando questo mio nuovo romanzo, sono molto orgoglioso della libertà e del coraggio che è costato. A me e al mio editore.

Ma c’è dell’altro.

Alcuni miei libri, negli ultimi dieci anni, hanno avuto successo. Quel che dovevo e potevo fare per cavalcare il favore del pubblico lo so bene io, come possono intuirlo tutti, anche i non addetti ai lavori. E’ quello che si fa comunemente, preferendo scrivere ciò che “si deve” rispetto a ciò che “si vuole”.

Tuttavia, ho capovolto la mia vita per cosa? Per essere libero, il più autentico e libero possibile. E allora? Non potevo seguire il faro dell’opportunità. Sarebbe stato un calcio sugli stinchi della mia storia.

Mi sono messo a studiare senza contratto con alcun editore, senza tempo stabilito, senza alcuna garanzia o scadenza. Poi mi sono accinto a scrivere senza neppure sapere se qualcuno avrebbe mai pubblicato il frutto di questa enorme impresa. Mi sono goduto il tempo dello studio e della scrittura senza vincoli, libero di assecondare la mia emozione verso la storia e i suoi personaggi. E fatalmente, a riprova che il nostro destino non ci indica mai la strada ma lo incontriamo lungo la via giusta dopo averla già intrapresa, un editore ispirato, illuminato e coraggioso si è innamorato dell’idea e mi ha sostenuto.

Ecco perché sono molto felice di aver concluso questo lavoro, proprio poco fa. E’ costato anni di studi e di impegno, compiuti alla luce della grande gioia della libertà e della creatività. Nulla come questo romanzo mi identifica e mi rappresenta. Nulla di ciò che ho scritto fin qui. Qualcuno che lo ha letto mi ha detto: “un romanzo così non lo scriverai mai più”.

Cercare ciò che ha senso, perseguirlo con cura, con la determinazione delle scelte impopolari e non opportune, ma vere e sentite, credo sia la maggiore garanzia che si può offrire a un lettore. Potrà amare o odiare quello che scriviamo, ma sarà certo che nessuno lo avrà preso in giro.

“Io sono un padre adottivo” Eugenio Gardella

Io sono un padre adottivo, ma sono anche un padre “biologico”. Questo particolare punto di vista, fra l’altro, mi ha fatto capire che l’adozione è parte di ogni genitorialità. Anche di quelle “naturali.”

Non è la carne e il sangue, ma il cuore che ci rende padri e figli.” scriveva Friedrich Schiller. Anche un figlio “naturale” può non essere riconosciuto e può essere abbandonato. Avere un figlio significa sempre adottarlo. Così è per tutto, del resto. L’adozione è il fondamento delle relazioni umane. L’adozione è comprendere l’altro da sé. E’ non lasciare soli gli altri esseri umani. Noi decidiamo di adottare chi amiamo, siano essi, figli, compagni, amici o persone da salvare.

Mio figlio è nato in Cambogia. Sulle rive tropicali del Mekong. Da quali sguardi, da quali svelte gambe nella notte calda e senza inverno, da quali durezze della vita provenga non lo so. Si tratta di una memoria della pioggia quella che io conservo per lui, la conservo per quando sarà grande e sulla mia incertezza sfogherà l’inquietudine del vuoto che lo ha originato. Questo ho deciso di accogliere. Questo per sempre mi è entrato nel cuore. Non esiste figlio più grande, non esiste amore più grande dei suoi snelli fianchi che non mi appartengono. Non esiste superficie più aggraziata della sua pelle che si veste di caffè con il sole dell’estate.

Questa è l’adozione.

Quando ho varcato il confine a Phnom Penh, il mio istinto allenato da anni a intuire l’animo degli uomini mi ha sussurrato che qualcosa stava accadendo. C’era profumo di dittatura e follia nel vento caldo che proveniva dall’equatore della terra.

Ho in quel vento incontrato mio figlio.

Nella penombra fra decine di lettini con le sbarre.

Lì ho incontrato i suoi occhi di carbone bagnato, occhi in cui bruciava tutta la tristezza e la bellezza del mondo, lì, in ginocchio, sono divenuto padre.

Ho portato via mio figlio.

Lontano da quella terra magnifica come un paradiso perduto. Pochi mesi. L’ho strappato via da un mondo complesso. Non senza dolore. Per portarlo in un mondo semplice dove io lo avrei protetto per sempre da tutti e da tutto. Questo è adottare. Semplicemente essere padri e figli. Questa è l’argilla su cui si regge il mondo. I mattoni con cui costruiremo il nostro futuro. Questo il presente. Queste le radici. Tutto in una scelta. Scegliere di esserci. Di esserci, fino all’ultimo, esserci per quell’abbraccio.

Stephen King con la febbre alta…

Recensione de “I CUSTODI DI SLADE HOUSE” di Devid Mitchell, pubblicata a ottobre 2015 sul Guardian.

Stephen King con la febbre alta di Liz Jensen

Ne “I custodi di Slade House” ritroviamo tutti i grandi temi della narrativa di Mitchell , con una robusta dose di ironia beffarda e orrorifica.

“Stasera sembra un gioco da tavolo progettato da un M.C. Escher al­colizzato, insieme a Stephen King con la febbre alta”, osserva una spaventatissima adolescente, affiliata a una società universitaria di appassionati del paranormale, nel nuovo, ossessivamente ingegnoso romanzo di David Mitchell, “I custodi di Slade House”. Un passaggio, questo, che dà perfettamente la misura della “dimensione Halloween” in cui Mitchell ha voluto calare il suo ultimo lavoro, ma “I custodi di Slade House” è anche molto altro.

Ogni nuovo risultato della prorompente immaginazione di Mitchell funziona come cassa di risonanza sia per le sue idee del passato sia per le opere che verranno, tutti i pezzi che finiranno per incastrarsi in quello che lui chiama il suo “uber-novel”.

E mentre vengono scritte tesi di dottorato sull’intertestualità di Mitchell, corredate di diagrammi di Venn, i lettori che hanno già potuto apprezzare le sue precedenti opere multi-narrative, come “Nove gradi di libertà”, “Cloud Atlas” e “Le ore invisibili” sappiano che non saranno per forza costretti a stare solo sul treno dei fantasmi, ma che potranno godersi ”I custodi di Slade House” in tutte le sue molteplici sfaccettature. Se vogliamo individuare la missione principale di questo riuscitissimo romanzo, esilarante e terrorizzante, da leggere d’un fiato, è quella di divertire se stesso. Pensate alla sorella dispettosa de “Le ore invisibili” con una parrucca spaventosa in testa, un fuoco d’artificio in mano, che urla “Bù!”, e avrete fatto luce su uno degli elementi del talento di Mitchell più significativi, presente dall’inizio del suo apprezzatissimo lavoro, ma sempre sottovalutato: uno strepitoso senso della commedia. È passato poco più di un anno dall’uscita de “Le ore invisibili”. E il fatto che “I custodi di Slade House” abbia avuto origine da un racconto pubblicato a puntate su twitter, poi sbocciato così rapidamente in un’opera di quasi trecento pagine, è la dimostrazione che il tempo vola, quando ti trovi a tuo agio nel paese delle meraviglie della creatività. In fondo alla buca del coniglio di Mitchell, si è ampliata a dismisura la parte sovrannaturale della tana.

La guerra tra spiriti buoni e malvagi che si dispiega ne “Le ore invisibili” era probabilmente la parte meno efficace del romanzo, ma i fantasmi sono comunque sempre stati presenti nell’officina narrativa di Mitchell. Ora, come se avesse applicato un nuovo ritornello a una vecchia canzone, lo scrittore parodizza i suoi fantasmi. Patti faustiani, mutaforme, psicovoltaggi, furti di anime, bolle di realtà, destrutturatori, e personaggi che dicono cose come “Dottoressa, se fossi in lei lascerei perdere la fisica delle particelle”: tutti elementi allegramente presenti alla grande festa di Slade House, durante la quale esasperano la loro dimensione metaforica, e fischiettano beffardi.

Mentre il tempo divide le cinque storie di cui è composto il romanzo, ambientate a intervalli regolari di nove anni a partire dal 1979 fino ad oggi, il luogo le unisce. Slade House, alla quale si può accedere solo tramite una piccola porta di ferro nero, situata in un vicolo strettissimo, in cui i due gemelli vampirizzatori di anime, Norah e Jonah Grayer attirano le loro vittime. E le vittime sono personaggi ritratti con grande abilità, personaggi ai quali ci affezioniamo nostro malgrado, perché percepiamo il pericolo cui vanno incontro, e non sappiamo se riusciranno ad uscire dal luogo in cui sono così innocentemente entrati.

“Il nostro caposcout, durante un’uscita mi ha detto di andare a farmi un giro, e io così ho fatto, e al servizio di salvataggio del monte Snowdonia ci sono voluti due giorni per trovare il rifugio dove mi ero messo” racconta il tredicenne Nathan Bishop, chiaramente affetto da autismo. Lui e la madre sono stati invitati a una serata musicale a Slade House, e presto Nathan comincia a chiedersi se è il valium che ha preso, la causa delle allucinazioni in cui è precipitato, o se sta accadendo qualcosa di più preoccupante. Avanti veloci fino al 1988, quando un poliziotto brutale e razzista, incaricato di scoprire qualcosa sulla misteriosa scomparsa dei Bishop di nove anni prima, incappa in una giovane vedova. Nove anni più tardi, saranno gli studenti universitari affiliati a una società paranormale ad infilarsi sconsideratamente nella trappola. E nel 2006, la sorella di uno di loro subirà la stessa sorte.

 

E mentre la storia arriva ai giorni nostri, e il romanzo raggiunge il suo apice (con la ricomparsa di un personaggio chiave dell’opera mitchelliana del passato), ombre molto familiari si muovono sulle pareti: “Harry Potter”, “Il giardino di mezzanotte”, “Matrix”, “I ragazzi terribili”, “La caduta della casa degli Usher”, “Giro di vite” e il “Rocky Horror Picture Show”. Per parafrasare una delle riflessioni di Nathan Bishop: “se mi avessero dato cinquanta pence per ogni citazione, allusione, metariferimento trovato nel romanzo, avrei bisogno di una calcolatrice nuova.”

“Quando ci si imbatte in qualcosa di banale e abusato, ecco come fare a rivitalizzarlo: bisogna trovare un opposto assolutamente improbabile, e poi mescolare tutto”, ha detto una volta Mitchell alla “Paris Review”. Distributori automatici di metafore horror, caratteri straordinariamente credibili, carnevalate selvagge, disagi esistenziali, scherzi metafisici: finisce tutto nel pentolone di Mitchell, che in questa cucina si muove benissimo.

Esattamente come l’industria cinematografica, anche Mitchell ha capito che spaventare la gente facendola sorridere è una cosa che funziona. L’horror permette di dire ad alta voce quello su cui le religioni preferiscono glissare: se si crede all’esistenza del bene ultraterreno, diventa difficile non considerare l’esistenza del male ultraterreno. E accompagnare la paura con l’ironia è il modo migliore per rendere sopportabile quello che sarebbe insopportabile. E così, mentre scendiamo nell’oscurità, la lampada-zucca di Mitchell ci sorride di un sorriso largo, e un po’ matto.

  • Liz Jensen è autrice del romanzo “L’imprevisto”, pubblicato da Time Crime

 I CUSTODI DI SLADE HOUSE sarà in libreria dal 6 settembre 2016

DAVID MITCHELL sarà ospite al Festivaletteratura di Mantova sabato 10 settembre alle ore 10:30 >>leggi

 

 

Festivaletteratura 2016: due grandi autori Frassinelli a Mantova

Sabato 10 settembre ore 10.30 incontro con David Mitchell e presentazione del libro I CUSTODI DI SLADE HOUSE presso la Chiesa di Santa Paola, Piazza dei Mille 16D. Con l’autore interverrà Tullio Avoledo.

>>qui la recensione del Guardian sul nuovo romanzo di David Mitchell

Sabato 10 settembre ore 12 incontro con Jung-myung Lee e presentazione del libro LA REGOLA DEL QUADRO presso Palazzo San Sebastiano, Largo XXIV Maggio 12. Con l’autore interverrà Bruno Gambarotta.

 

Intervista a Taylor Jenkins Reid

Un amore da favola, Jennifer Aniston e la determinazione a inseguire i propri sogni con tutte le forze: ecco la ricetta del successo di Taylor Jenkins Reid, l’autrice di Ti lascio per non perderti e di Tu, io e tutto il tempo del mondo.

Come ti è venuta l’idea di scrivere Ti lascio per non perderti?

Quando mi sono messa a scrivere, mi frullavano in testa due proverbi: “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore” e “la lontananza fa bene all’amore” . Volevo davvero capire quale dei due fosse più vero, quindi ho pensato che sarebbe stato interessante prendere due persone e farle lasciare per vedere come se la sarebbero cavata l’una senza l’altra. Tutto il resto – i personaggi, l’ambientazione, le dinamiche famigliari – sono scaturite proprio da quell’idea iniziale.

Al centro del tuo libro, c’è un matrimonio in crisi. Ma qual è la tua esperienza di matrimonio?

Io e mio marito, Alex, siamo usciti insieme per la prima volta nell’agosto del 2008. Entro la fine di quell’anno, eravamo sposati. Ci conoscevamo da meno di cinque mesi quando ci siamo detti sì per la vita. Non mi era mai capitato di avere una relazione così: era seria e profonda, ma al contempo era leggera e per nulla complicata. Volevamo fare qualcosa di folle insieme, quindi un venerdì sera siamo andati sulle colline di Hollywood e ci siamo sposati. Io indossavo un cappotto rosso, Alex i suoi jeans preferiti. Nessun ripensamento.

Come hai capito che volevi fare la scrittrice?

Be’, è stata tutta colpa di Jennifer Aniston a dire il vero! È una storia lunga, questa, che inizia quando, a sedici anni, sono stata lasciata dal mio fidanzatino. Ero a pezzi ed è stata una maratona di Friends a tirarmi su il morale e a farmi innamorare perdutamente del personaggio di Rachel. Qualche anno dopo, lavoravo nel cinema come assistente al casting; in teoria, sarebbe dovuto essere il lavoro dei miei sogni – avevo mosso mari e monti per ottenerlo –, ma in realtà non faceva davvero per me.

Non sapevo proprio che fare, quando ecco che Jennifer Aniston in persona illumina di nuovo il mio cammino. Per caso, mi sono ritrovata a lavorare al casting di un corto che avrebbe diretto lei in persona. Quando l’ho finalmente incontrata, è stato fantastico. E dovevo dirlo subito a tutti; perciò, ho scritto una storiella in cui raccontavo com’era stato incontrare la mia star preferita. Tutti quelli che hanno letto il mio raccontino mi hanno detto: «Ehi, dovresti fare la scrittrice!». E allora ho capito: ecco cosa avrei davvero voluto fare nella vita! Dunque, eccomi qui.

Wow. Come sei passata dall’essere una ragazza che scrive storie per i suoi amici a essere una scrittrice di successo, con la sceneggiatura di un film tratto dal suo primo libro in cantiere? (Tu, io e tutto il tempo del mondo diventerà un film con protagonista Dakota Johnson – n.d.r.)

Credo che fondamentalmente uno debba essere pronto a tutto. Per raggiungere un obiettivo, si deve lavorare duro anche prima di avere un tornaconto economico – ho scritto il mio primo libro di notte e nei weekend mentre lavoravo full time –, avere una gran faccia tosta e non mollare mai. Tante volte, mi sembrava che i miei desideri fossero irraggiungibili e avevo paura a rivelarli; poi, a un tratto, ho deciso che sarei stata io la prima a credere in me stessa e, così, ho fatto il primo vero passo per realizzare i miei sogni.

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