Lettera di Markus Zusak alle lettrici e ai lettori italiani

Care lettrici e cari lettori italiani,
Il ponte d’argilla racconta di un ragazzo che rischia tutto quello che ha, per diventare quello che ha bisogno di essere: costruire un ponte, e trovare nella grandezza dell’impresa la cura per le tragedie della sua vita. L’idea mi è venuta oltre vent’anni fa quando (così vi svelo ma mia età…) avevo diciannove o vent’anni: pensavo a un ragazzo che avrebbe costruito un ponte, e che si chiamava Clayton – e da lì mi venne in mente il titolo, “The Bridge of Clay” – e immediatamente fui colpito dall’idea di questo ponte che sarebbe stato fatto di pietra, di legno, ma che nel profondo sarebbe stato fatto di lui, di Clay. Ma poi c’è voluto un sacco di tempo prima che il resto del libro, o meglio “il mondo” del libro, prendesse forma. Alla fine, ho trovato quello che cercavo: Cinque fratelli. I loro genitori. Cinque animali. E Clay al centro di tutto questo.
Da un certo punto di vista, è come se questo libro racchiudesse in sé tutti i miei romanzi precedenti, ma da un altro punto di vista è invece del tutto isolato. Io volevo continuare ad essere ambizioso dopo Storia di una ladra di libri. Volevo scrivere un altro romanzo che fosse completamente significativo, per me. E oggi, dopo tutto questo tempo, sento di esserci riuscito. In conclusione penso che sia un libro diverso da quello che i miei lettori si aspettavano, ma penso anche che la soddisfazione, per loro, sarà maggiore.
Spero che i lettori possano provare la sensazione di essere entrati in un mondo e di essere usciti dall’altra parte, dopo aver conosciuto questi personaggi, dopo aver provato quanto questi personaggi si siano amati l’uno con gli altri, anche quanto hanno litigato, o si sono picchiati, o si sono presi in giro. Forse il mio desiderio è che i lettori provino quello che ha provato Clay, che anche loro sentano che tutti noi prima o poi dobbiamo affrontare una sfida grandiosa, e anche se ci rendiamo conto di non poterla vincere, dobbiamo comunque provarci.

MARKUS ZUSAK

Nascita di un commissario

“Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 dovetti occuparmi per il giornale di una vicenda inedita e misteriosa: la scomparsa di una famiglia a bordo di un camper. Ho seguito questa storia per nove anni e verso la fine m’è venuta voglia di raccontarla in un’unica soluzione. Non era ancora un triplice omicidio, ma una semplice fuga, probabilmente con denaro sottratto al fondo nero di un’azienda. A quell’epoca il giallo si era ormai sottratto dalle sue parentele conandoliane e si affermava come romanzo sociale contaminandosi col “noir” francese: una prospettiva per me molto stimolante dal punto di vista narrativo. Avevo bisogno di un investigatore e vista la scarsa presa del detective privato in questo Paese, ho pensato che dovesse essere un uomo delle istituzioni, un carabiniere o un poliziotto. Conoscevo, per aver avuto a che fare con lui, un capo della Mobile parmigiana che si presentava con profilo apparentemente dimesso e riflessivo, una specie di don Ciccio Ingravallo alla parmigiana. Mi piacque e lo presi come modello. Si sa che gli scrittori sono ladri di vita altrui. Non sapevo se questo personaggio, schivo, grande camminatore, induttivo e intuitivo, refrattario all’informatica e diffidente della polizia scientifica, avrebbe avuto o no successo. Comunque uscì la sua prima avventura ancorché atipica in quanto “fiscal thriller” e non comune indagine su un assassinio. “Mobydick” pubblicò il libro che finì nelle mani di Raffaele Crovi a cui piacque questo personaggio al punto di volerlo ospitare in due sue collane di narrativa. Nel 2003 lo stesso Crovi mi presentò a Carla Tanzi e Ilde Buratti, presidente ed editor di Frassinelli che decisero di pubblicare “Il fiume delle nebbie”. Il libro fu incluso nei 12 dello “Strega” e risultò settimo alle votazioni per la cinquina. Fu uno dei primi gialli a partecipare al premio. Due anni dopo, nel 2005, Soneri è diventato un personaggio dell’immaginario collettivo con l’uscita della prima serie di “Nebbie e delitti” interpretata da Luca Barbareschi. A quelle prime quattro puntate hanno fatto seguito altre dieci puntate andate in onda in successive due serie nel 2007 e nel 2009.”

Valerio Varesi

Ti regalerò un bosco di pioppi

Ti regalerò un bosco di pioppi sul fiume Adige. Ti donerò le mie trecce piene di sogni.  Ti offrirò un letto di piume sotto i meli.  Ti darò una boccetta di lacrime mattutine e una di rosolio per la sera. Questo è il maglione caldo di mio fratello Genesio che ti salvi dal freddo del marmo.  Ti cedo questa cartolina di mio marito caduto che mi ha disegnato il castello di Duino.  Cederò ogni anno metà del mio vino, perché bevano tutti al tuo ricordo. Ti lascio il medaglione con la mia pallida bambina scomparita nel frumento. Ti dedicherò la prossima città che fonderò in Paraguay.

Queste erano una piccola parte delle lettere e degli oggetti che furono gettati su uno dei carri vuoti del treno che trasportava la bara del milite ignoto ch’era partito il mattino del 29 di ottobre del 1921 dalla stazione di Aquileia e che sarebbe arrivato a Roma la sera del primo novembre. All’arrivo occorsero ben venticinque camion e una trentina di trattori d’artiglieria per trasportar i fiori e gli oggetti che vi eran stati deposti.

Rivedendo quel treno che a passo d’uomo attraversava le campagne e le colline del Friuli, del Veneto, dell’Emilia, della Toscana e del Lazio e che raccolse intorno a sé otto milioni di persone che andarono a piedi a salutarlo, ci appare un’Italia contadina, profondamente mortificata e scioccata dalla più dura guerra che avesse mai visto, ma unita sul quel ragazzo senza nome. Un paese ancora ferito, ma avvolto in una lunga e lacera coperta di Pietà per quel soldato che rappresentava per ognuno il padre, il marito, il figlio, il fratello che avevano perduto.

Il viaggio di quel treno correva su un affresco di Misericordia tra la commossa partecipazione di una nazione che s’era formata da poco e da poco cominciava ad avere un unico cuore ed un unico sentire. La Grande Guerra era finita da tre anni, ma quell’incantato fiume di parole creato da quattro miliardi di lettere scritte durante il conflitto, rappresentava il primo vero epos italiano: uno sconfinato e toccante documento di racconto collettivo.

Un paese come il nostro ancor oggi così carente di un’epica condivisa, dove anche gli eroi del Risorgimento sono confutati e discussi, l’invenzione del Milite Ignoto ed il suo leggendario viaggio dalla Basilica di Aquileia all’Altare della Patria rappresenta invece e finalmente una letteratura popolare nuova e partecipe La grande pianura che andava dall’Isonzo al Po, era attraversata e avviluppata in chilometri e chilometri di lettere, con inchiostro azzurro e color sangue, da stagni di lacrime e maledizioni dove volava come una libellula la una giovane Dea Speranza che cambiava il colore degli occhi e dei sogni al nostro avventurato paese, che come una sposa aveva iniziato a riconoscersi nel suo amato prima ancora di conoscerlo. Aveva iniziato a scriverlo prima che a leggerlo. Ad amarlo prima d’averlo incontrato. Lungimiranze sentimentali dovute alle vertigini della povertà e del disastro incombente che ci avevano disperso a lungo per poi unirci su un giovine martire sconosciuto.

Quello che appariva infine dopo il trionfante strazio di quella Via Crucis su rotaie era una nazione riconciliata dalla morte del suo figlio ultimo e dimenticato, diventato alfine l’ultimo figlio amatissimo.

Dobbiamo impegnarci quindi a rappresentare questa tragedia e a rinnovarne la memoria, che non è solo storia e dramma, ma è soprattutto poesia e racconto rapsodico, musica da cantare e versi di canzoni semplicemente immortali.

Questo è doveroso da parte nostra verso le nuove generazioni per ridare loro una mappa a colori di com’erano i sentimenti di un secolo fa, così diversi da adesso: l’amore coniugale, la devozione filiale, lo spirito del sacrificio, la parola data, la indiscussa lealtà ed il rispetto per le persone e le cose desiderate e necessarie, sudate e guadagnate.

Il coraggio, dicono, salta sempre una generazione ed è proprio per questo che ogni generazione deve tenere a memoria il coraggio delle precedenti ed anche il semplice ricordarlo aiuta chi questo coraggio non ha avuto e non se lo può donare.

Eschilo sulla sua tomba fece scrivere solo e soltanto che aveva combattuto a Maratona, nonostante i sui innumerevoli meriti letterari. Quella guerra contro i Persiani e quella battaglia dove perse un fratello e dimostrò il suo , era tutto ciò che voleva che di lui fosse ricordato e questo fu il suo ultimo regalo per tutti noi.

Massimo Bubola

Brevi riflessioni di fisica quantistica: Reimmaginare il cervello – (Fabio Fracas 41)

Nel 1998 cominciai a interessarmi alla possibilità che la trasmissione delle informazioni attraverso le fibre nervose avvenisse anche meccanicamente e non solo elettricamente.

C’erano state già delle teorie in tal senso espresse trent’anni prima dallo scienziato Ichiji Tasaki che aveva anche eseguito una serie di innovativi test. Così, sfruttando i miei studi musicali, realizzai dei semplici esperimenti sonori in tal senso. Esperimenti che evolsero, successivamente, anche in alcune composizioni – come “Heliantus”, del 2000 – che presentai pubblicamente.

Con gli anni, questa ipotesi mi sembrò sempre più convincente e la portai con me negli USA nel 2014, quando divenni GRA presso la Florida Atlantic University. Ritornato in Italia, la presentai – assieme ad alcune sue possibili applicazioni pratiche – alla conferenza che tenni per il TEDxPadova il 13 maggio 2017. Conferenza interamente disponibile a questo indirizzo: https://bit.ly/2hHbxHe.

Bene, a un anno esatto di distanza da quel mio intervento, lo scorso aprile 2018 Scientific American ha pubblicato un articolo dal titolo “The Brain, Reimagined” dove il fisico Thomas Heimburg, del Niels Bohr Institute di Copenaghen, riesce a dimostrare questa modalità di trasmissione meccanica delle informazioni.
 
Naturalmente siamo solo all’inizio e ci sono illustri pareri che la considerano, al massimo, solo un effetto secondario della classica trasmissione elettrica. L’importante, a mio avviso, è che si stia cominciando a ragionare seriamente su questa possibilità e che gli studi per verificarla – o eventualmente smentirla – siano stati definitivamente avviati. Mi auguro, adesso, che riescano a proseguire grazie all’interessamento e alla partecipazione di tutta la comunità scientifica.

Fabio Fracas

Il segreto di mia sorella

Il segreto di mia sorella è “un thriller per i lettori di Gone Girl… scritto con lo stile unico di Flynn Berry.” (The New York Times Book Review)

La campagna inglese, nella sua verdeggiante piattezza da campo di golf, ha sempre riservato sorprese ai suoi abitanti. E ai lettori di gialli.

Dal villaggio dove Miss Marple risolve delitti sferruzzando sull’ultimo lavoro a maglia in poi, la quiete della provincia nasconde il fuoco sotto la cenere. È proprio nella campagna inglese che si è rifugiata Rachel, infermiera e amante della natura, insieme al suo cane, un bellissimo pastore tedesco.

Non è sempre sola, perché spesso, quasi tutti i weekend, va a trovarla la sorella Nora: prende il treno da Londra, poi fa una passeggiata attraverso il paese dove ormai conosce tutti e infine la raggiunge per godersi una cena e quattro chiacchiere davanti a un bicchiere di vino. Fino all’ultimo fine settimana.

Quando Nora apre la porta di casa aspettandosi di sentire il profumo del cibo e invece si trova davanti a una scena che le toglie il respiro: Rachel e il suo magnifico cane sono stati uccisi barbaramente. Mentre la polizia comincia a indagare, Nora si rende conto di due cose: che il delitto ha a che fare con il passato, suo e di Rachel. E che non conosceva sua sorella come aveva sempre creduto.

Un thriller hichcockiano che vi terrà con il fiato sospeso.

Bad Man è un thriller horror della miglior specie

Bad Man è un thriller horror della miglior specie e siamo d’accordo con USA Today quando lo definisce un mix tra Stephen King e Tre manifesti a Ebbing, Missouri.

Il suo autore, Dathan Auerbach, d’altra parte, è uno che si è fatto le ossa su Reddit, la piattaforma di racconti horror e creepypasta, le leggende metropolitane che rivisitano vecchie storie di coccodrilli nelle fogne, piante carnivore e maschere africane animate da spiriti maligni.

Così ha immaginato il suo protagonista Ben in una piccola cittadina di provincia molto kinghiana, lo ha dotato di un passato difficile (ha perso il fratellino in un supermercato e non lo ha più ritrovato) e di un presente inspiegabile. Ben, infatti, lavora di notte nello stesso supermercato dove il fratello è sparito, circondato da ombre e presenze sfuggenti, da rumori improvvisi e misteriosi corridoi che non portano a nulla.

Notte dopo notte, Ben insegue i suoi fantasmi, convinto di poter dare una spiegazione a quanto è successo. Solo che Ben non ha ancora capito dove si trova.

Leggete Bad Man e poi fateci sapere!

Io e Spike (se avete un cane…)

Se avete un cane, o lo avete avuto in passato, sapete di che cosa stiamo parlando, di quale legame profondo e sostanzialmente inspiegabile sia capace di stabilire con il suo umano.

Sapete quanto il vostro cane può fare il simpatico e il bavoso quando siete a tavola e vuole assaggiare qualcosa (un consiglio: evitate di guardarlo negli occhi, non potrete resistere).

Sapete quanto può essere silenzioso e devastante quando decide di masticare fino alla consunzione il vostro unico golfino di cashmere. Vi ricorderete di quando vi è entrato in casa la prima volta da cucciolo, un coso sferoidale con le orecchie che dondola fino alla sosta pipì, di solito sul tappeto, perché il pavimento non gli basta.

E sapete quanto è ogni giorno irresistibile, affettuoso, matto, giocherellone, dolce.

Quello che non sapete è che ci sono cani, come Spike, il border collie di Marco Motta, che oltre a tutto questo hanno avuto la pazienza di farsi addestrare per salvare la vita ad altri umani. Spike lavora con Marco in Croce Rossa e, dalle macerie di Amatrice ai boschi dove qualcuno si perde senza lasciare tracce, ha una storia che valeva la pena di essere raccontata.

Partecipa al concorso di STARS e vinci le stelle!

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Tulip fever diventa un film: La ragazza dei tulipani

Passione, amori proibiti e un cast d’eccezione nel film La ragazza dei tulipani, dal 6 settembre al cinema, tratto dal romanzo Tulip fever – La tentazione dei tulipani.
Alicia Vikander, Dane DeHaan, Christoph Waltz e Judi Dench insieme in una storia firmata dallo sceneggiatore di ‘Shakespeare in Love’. Il film, un’esclusiva per l’Italia Leone Film Group e Rai Cinema, sarà distribuito da Altre Storie.

Sogni segreti, inganni e tradimenti, in una storia in cui l’arte si fonde con la passione: La ragazza dei tulipani, di Justin Chadwick (L’altra donna del re) arriva sul grande schermo con il premio Oscar® Alicia Vikander, il carismatico Dane DeHaan, i premi Oscar® Judi Dench e Christoph Waltz, insieme a Jack O’Connell, Matthew Morrison, Cara Delevingne e Zach Galifianakis.

Ispirato al romanzo Tulip fever – La tentazione dei tulipani di Deborah Moggach , che firma la sceneggiatura insieme al premio Oscar® Tom Stoppard, sceneggiatore di Shakespeare in Love, il film sarà dal 6 settembre al cinema con Altre Storie.
Ambientato nel 1636 ad Amsterdam, il film racconta l’intensa storia d’amore tra Sophia – interpretata dallabellissima e pluripremiata Alicia Vikander (The Danish Girl) – costretta a sposare il ricco e anziano mercante Cornelis Sandvoort (Christoph Waltz) e l’artista a cui il mercante decide di commissionare un dipinto: il talentuoso Jan van Loos (Dane DeHaan).
Il ritratto di un’Amsterdam di inizio 600 che vive un momento di grande splendore grazie al commercio e all’arte. In particolare la città è preda di una follia collettiva, la ‘febbre’ dei tulipani, che ha contagiato non solo i grandi mercanti, ma anche i ceti più umili nella ricerca dei bulbi più pregiati, considerati merce di grande valore. Su questo sfondo nasce una relazione pericolosa per cui si è disposti a rischiare la vita, una storia in cui l’arte diventa simbolo di passione.
‘Sophia tiene molto a suo marito Cornelis, con lui condivide una vita – racconta Alicia Vikander, parlando del suo personaggio -. Quando Jan entra per la prima volta nella sua vita, non vuole aver nulla a che fare con lui, perché viene da un ambiente molto religioso, ha un marito che ama, una vita appagante e non vorrebbe rischiare di perdere tutto per qualcos’altro… Ma, anche se vuole bene a Cornelis, è comunque una giovane donna che non ha mai provato che cosa sia la passione…”

Amsterdam, 1636: la città è in pieno fermento. Il commercio prospera, le arti fioriscono. Sophia , orfana cresciuta dalle suore, viene presa in sposa da un ricco mercante, Cornelis Sandvoort, molto più vecchio di lei. Lui desidera ardentemente un figlio, ma lei non riesce a darglielo, mettendo così in pericolo il loro matrimonio. I due decidono di posare per un ritratto che li renderà immortali, ma Sophia inizia una relazione con il pittore, un giovane e talentuoso artista: Jan van Loos.

Tutto questo mentre la cameriera di Sophia, Maria, scopre di aspettare un figlio dal ragazzo di cui è innamorata, che per un equivoco è fuggito via. Per salvare la situazione, le due donne escogitano un piano, apparentemente comodo per entrambe. Ma, mentre l’Olanda è preda di una follia collettiva, la febbre di possedere i bulbi di tulipani, con pennellate intense di sensualità, irresistibile desiderio, inganno, sogni e illusioni, il ritratto prende tutt’altra forma, colorando passioni per cui daresti la vita.

Brevi riflessioni di fisica quantistica: Lasciarsi stupire! – (Fabio Fracas 40)

“Non mi fu risparmiato lo shock che ogni fisico abituato al modo di pensare classico subiva quando sentiva parlare per la prima volta del postulato fondamentale della teoria quantistica di Bohr.”

Questa affermazione di Wolfgang Pauli colpisce sia perché proviene da uno scienziato Premio Nobel per la Fisica nel 1945 – la frase è tratta dal discorso pronunciato durante la cerimonia di ringraziamento del 13 dicembre 1946: “Principio di esclusione e meccanica quantistica” –, sia perché rende evidente come la controintuitività della Fisica Quantistica risulti, comunque, difficilmente accettabile anche da chi vi si confronta quotidianamente.

Eppure, quella stessa controintuitività diventa parte integrante e fondamentale di un processo di ricerca scientifica che – nell’accettazione dei nuovi paradigmi che presuppone – deve sempre dimostrarsi aperto al confronto, libero da schemi preconcetti e soprattutto capace di valorizzare e fare propri, la meraviglia e lo stupore.

Come lo stesso Albert Einstein scrisse nella raccolta di pensieri “Come io vedo il mondo”, del 1934: “Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per così dire morto; i suoi occhi sono spenti”.

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